Scrive Italo Calvino nella prefazione al suo romanzo sulla Resistenza ”Il sentiero dei nidi di ragno”, in occasione della ripubblicazione nel 1964 per il Club degli Editori:
«E fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se l’aspettava, Beppe Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo, e morì prima di vederlo pubblicato nel pieno dei quarant’anni. Il libro che la nostra generazione voleva fare adesso c’è e il nostro lavoro ha un coronamento, un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita: la stagione che va dal “Sentiero dei nidi di ragno” a “Una questione privata”».
Calvino conclude con una frase che è un’ammissione sincera e encomiabile: «È al libro di Fenoglio che volevo fare la prefazione: non al mio.»
Due partigiani sono fermi davanti a una villa presso Alba, nelle Langhe. I proprietari sono probabilmente lontani, a Torino; il partigiano Milton ha chiesto al compagno qualche minuto per abbandonarsi ai ricordi. Questa è la casa di villeggiatura di Fulvia, la sua ragazza.
Il suo compagno Ivan freme, vorrebbe tornare al comando perché teme di incontrare nella nebbia pattuglie di soldati repubblichini; ma Milton è ormai in balia dei ricordi, perché ogni albero intorno alla villa gli ricorda Fulvia.
È stato l’amico comune Giorgio Clerici a presentargliela, sedici anni, dopo una partita di pallacanestro. Giorgio che ora è in montagna insieme a lui, ma in un’altra brigata partigiana, l’ha introdotto dicendo «Fulvia, questo è un dio in inglese», e lei l’aveva invitato in casa perché le traducesse il testo di Deep Purple, la canzone di Peter DeRose.
“Lui tradusse, dal disco al minimo dei giri. Lei gli diede sigarette e una tavoletta di quella cioccolata svizzera. Lo riaccompagnò al cancello. «Potrò vederti, — domandò lui, — domattina, quando scenderai in Alba?» «No, assolutamente no.»”
Lui le porta libri, Edgar Allan Poe, poi traduzioni fatte da lui stesso, finché a un certo punto Fulvia non legge nient’altro. Costretta dai genitori a ritornare a Torino dopo l’8 settembre, quando le colline e la campagna sono diventate più pericolose delle città bombardate, Fulvia impone a Milton di scriverle lettere, e lui ubbidisce.
Il tarlo atroce del dubbio si insinua in Milton. Cos’è accaduto tra Fulvia e Giorgio in sua assenza? Già Milton si era accorto di quanto i due fossero adatti a fare coppia. Deve sapere cos’è accaduto davvero. «Il fatto è che più niente m’importa. Di colpo, più niente. La guerra, la libertà, i compagni, i nemici. Solo più quella verità». Al ritorno al comando di brigata chiede mezza giornata di permesso, vuole andare al comando partigiano a Mango per cercare Giorgio. «Non poteva più vivere senza sapere e, soprattutto, non poteva morire senza sapere, in un’epoca in cui i ragazzi come lui erano chiamati più a morire che a vivere.»
Ma Giorgio non è a Mango, è rimasto indietro al ritorno da una missione, gli altri l’hanno perduto nella nebbia fitta. Le ore passano, e le peggiori ipotesi trovano conferma: perduto nella nebbia, «un mare di latte», si è imbattuto in una pattuglia di fascisti. L’hanno riconosciuto subito come partigiano, indossa una delle divise che gli inglesi paracadutano dal cielo insieme ai rifornimenti, ed è armato.
Ora è prigioniero in città, ma i prigionieri non durano molto in questa guerra. È essenziale uno scambio di ostaggi: ma i badogliani, i partigiani in cui Milton milita, non ne hanno in questo momento. Si reca al comando della formazione garibaldina che occupa una vicina collina; tra le due correnti non corre buon sangue, i comunisti sono gelosi perché gli alleati paracadutano armi e vettovaglie solo agli “azzurri”, i badogliani. Milton conosce il comandante comunista Hombre perché hanno combattuto insieme, ma il suo tentativo individuale non gli è d’aiuto, l’ultimo fascista nelle loro mani è stato fucilato il giorno precedente.
A questo punto non rimane che prendere l’iniziativa. Perché si dà tanto a fare, Milton? Per salvare l’amico più caro, o per sapere la verità su quello che considera un tradimento?
“Una questione privata” (prima edizione Garzanti 1963, ultima edizione Einaudi 2014) è un titolo redazionale, scelto recuperando quello che Fenoglio usava nel parlare con la moglie, e che riflette la sua convinzione per cui la Resistenza sia stata soprattutto una tragedia personale, una guerra civile dell’anima umana. Sorpreso dalla malattia nel mezzo della maturità, anche artistica, Fenoglio si preoccupa di lasciare su un biglietto istruzioni sull’ordine in cui avrebbero dovuto essere pubblicati i suoi racconti, tralasciando di disporre per i romanzi: forse perché non li considera pubblicabili nella versione parzialmente completa in cui si trovano.
Lascia numerosi manoscritti, generalmente privi di titolo; “il libro grosso sul quinquennio 1940-1945”, su cui lavora a lungo, oggi pubblicato come “Il partigiano Johnny” (Einaudi 1968), dal quale si ricaverà però anche “Primavera di bellezza” (Garzanti 1959). Fenoglio sembra abituato a cannibalizzare i testi più lunghi per ricavarne storie autonome e brevi: “La paga del sabato” (Einaudi 1969) smembrato in due testi brevi, “L’imboscata” (Einaudi 1992), che pure ha per protagonista il partigiano Milton, divisoper ricavarne racconti sulla guerra civile, che finiranno nell’unica raccolta pubblicata durante la vita, “I ventitré giorni della città di Alba” (Einaudi 1952).
In “Una questione privata”, che tanto ha impressionato Calvino, pubblico e privato si intersecano in un intreccio indissolubile, che rende ancora più vera la storia. La disperata ricerca di Milton di un metodo per salvare il compagno non è dettata da amicizia o cameratismo, ma dal più umano e ambiguo sentimento della gelosia.
Secondo il fratello, Fenoglio sul letto di morte avrebbe chiesto alla famiglia di distruggere tutti i suoi scritti con l’eccezione di due racconti e di “Una questione privata”, segno che era consapevole quantomeno del valore del romanzo, anche se non considerava pubblicabili altri testi, forse perché incompiuti. Per nostra fortuna, il suo desiderio non è stato esaudito.
di Franco Ricciardiello, 1 giugno 2019