Mi sono avvicinato a “I briganti” di Magnus (Granata Press 1993, Rizzoli-Lizard 2013, Mondadori 2019) con la consapevolezza di trovarmi di fronte ad una lettura importante e impegnativa. Magnus, nome d’arte di Roberto Raviola, non è mai scontato. Le sue opere sono sempre dense di contenuti e significati, fin da quando disegnava Alan Ford e Kriminal negli anni ’70, in squadra con Max Bunker (Luciano Secchi) che ne era lo sceneggiatore, e poi nel seguito della sua carriera da ‘solista’, soprattutto con la saga de “Lo sconosciuto”.
Ma questa opera aveva tutti i presupposti di qualcosa di più ‘spesso’, fosse anche solo per il fatto di essere ispirato da un classico della letteratura cinese “Shuǐhǔ Zhuàn”, letteralmente “Storia ai margini dell’acqua”, scritto nel XV secolo, pubblicato in Italia con il titolo “I briganti” nel 1956.
Magnus colloca la sua versione del classico cinese in un’epoca non specificata, a tratti assimilabile al medioevo, salvo poi ritrovarsi proiettati in viaggi spaziali a bordo di improbabili astronavi. All’ombra del celeste imperatore nelle terre (e sui pianeti) del suo immenso impero si muovono feudatari, cortigiani, soldati, profittatori, lestofanti, sudditi tiranneggiati. Tutti in perenne lotta per i propri subdoli interessi, i più potenti per perpetrare il loro potere, gli ultimi per raccogliere qualche briciola a scapito di altri ancora più deboli e indifesi, nella speranza di salire qualche gradino nella gerarchia della casta. Una continua lotta tutti contro tutti di cui ad avvantaggiarsi sono soprattutto quelli che della casta già fanno parte. Pochi hanno la forza di provare ad opporsi, tra questi uno dei protagonisti, Lin-Chung, ‘Cranio di Pantera’, che finisce per unirsi ai temibili ribelli, i Briganti, che combattono contro il potere costituito. Ma non immaginatevi romantici paladini del bene, i Briganti non si dimostrano molto meglio di quelli contro cui combattono. Basti pensare che il loro capo è un despota che fa praticare le torture più raccapriccianti ai nemici e tradisce gli amici che teme possano prendere il suo posto. Per questo rifiuta in un primo tempo di accogliere Lin-Chung: non è abbastanza perfido per essere prevedibile e quindi facile da tenere sotto controllo. Occorrerà che anche Lin-Chung in qualche modo si assimili.
Un quadro umano davvero desolante insomma quello in cui si snoda la vicenda, per altro molto articolata, avventurosa, ricca di colpi di scena. L’accostamento di ambientazioni orientali medioevali con scenari futuribili fantascientifici, comprensivi di gigantesche battaglie stellari, è una genialata che da un fascino visionario all’opera. Le chine di Magnus, così decise, sono la miglior rappresentazione grafica delle tinte forti del romanzo.
Molto molto bello, ma alla fine quello che quest’opera mi ha trasmesso è una sensazione di cupo pessimismo. Un ‘pessimismo’ sulla natura umana, il cui egoismo di fondo finisce per far prevalere sempre i suoi aspetti peggiori, un istinto di sopraffazione che non dà scampo a chi non combatte con le stesse armi, un mondo dove gli ultimi, i poveri, i deboli devono soccombere ed è anche colpa loro. Se ci guardiamo intorno, soprattutto in questi tempi, difficile non dar ragione all’autore.
Credo che questo contrasto tra la bellezza del disegno e la ‘bruttezza’ di quello che racconta sia proprio la peculiarità di Magnus, forgiatore di prodotti artistici perfetti, meravigliosi ma con un che di sgradevole. In altre sue opere però, come Maxmagnus, La compagnia della forca o lo stesso Alan Ford, c’è una vena satirica caricaturale che mitiga gli effetti della ‘cattiveria’, una verve comica che in qualche modo restituisce un filo di speranza. Invece ne “I briganti” la possibilità di redenzione resta sospesa, non sappiamo se Cranio di Pantera conserverà un po’ di purezza e riuscirà a vendicarsi dell’odioso Maresciallo Kao, non lo sapremo mai perché l’opera è rimasta incompiuta. Mancano i due capitoli finali, dei sei inizialmente previsti, e credo manchi anche una revisione di quelli completati perché certi passaggi mi sono sembrati un po’ disarticolati. Nella bella edizione Rizzoli-Lizard che ho acquistato vengono fatte delle supposizioni su come Magnus avrebbe terminato la storia sulla base di alcuni suoi appunti. Ma a me piace pensare che Magnus non l’abbia voluta finire perché andava bene così, spetta a noi decidere il seguito, siamo noi che possiamo portare l’umanità alla salvezza o alla dannazione. E trovo in questo forse un senso di recuperata religiosità.
Roberto Raviola, in arte Magnus, è stato tra i maggiori autori del panorama fumettistico italiano. Oltre ai suoi celeberrimi personaggi, Alan Ford, Kriminal, Satanik, Maxmagnus, realizzati in sodalizio con Luciano Secchi, ricordiamo alcune delle sue opere maggiori nella loro ultima edizione pubblicata: “Lo sconosciuto” (Rizzoli Lizard – 2 volumi 2012-13), “La compagnia della forca” (Rizzoli Lizard – 2 volumi 2015), “La valle del terrore” (Rizzoli Lizard – 2011). Quest’ultimo lavoro, che ha come protagonista un Tex Willer magnificamente reinventato da Magnus, fu pubblicato nella serie annuale degli Albi Speciali di Tex nel 1996 dalla Bonelli ed è considerato unanimemente una delle maggiori opere a fumetti di sempre, il testamento artistico di Magnus.
Vittorio Benzi, 7 agosto 2019