Lorenzo Licalzi, affermato scrittore genovese, nasce a Genova ma vive a Pieve Ligure. Di formazione psicologo, ha lavorato nel pubblico e nel privato, nel 1990 ha fondato e diretto una casa di riposo. Dal 2010 si dedica esclusivamente alla scrittura. E’ giornalista pubblicista e tiene da 10 anni una rubrica sul Secoloxix dedicata al calcio (e prima di critica televisiva). Ha esordito nel 2001 e scritto 10 romanzi, tutti pubblicati da Rizzoli (i primi tre da Fazi, poi passati a Rizzoli). Tutti i suoi romanzi sono in catalogo BUR. Con i suoi libri ha conquistato oltre moltissimi lettori anche alcuni premi letterari ed è stato per tre volte finalista al Bancarella. Il suo libro di esordio, “Io no” è diventato anche un film per la regia di Simona Izzo e Ricky Tognazzi.Intervista di Cristina de Regibus e foto di Gianluca Russo.
Buongiorno Lorenzo intanto grazie mille per esserti reso disponibile a rispondere a queste domande. Come prima domanda vorrei chiederti cosa ti ha spinto a scrivere il tuo primo libro?
Due cose, essenzialmente. La più importante è stata la lettura tardiva di Due di Due di Andrea De Carlo. Molti altri romanzi mi erano piaciuti prima di allora, ma questo, per qualche insondabile motivo, mi diede lo spunto e la voglia di scrivere una storia che avesse come protagonista un personaggio in qualche modo simile a Guido Laremi, di cui rimasi affascinato. Poi dalla mia penna né uscì uno, Francesco Massa, molto diverso, ma, come dissi a De Carlo il giorno in cui gli parlai di questa cosa singolare, i due sarebbero andati d’accordo, si sarebbero trovati simpatici. L’altra è il tempo libero. Dopo circa 15 anni di superlavoro, come psicologo e, gli ultimi dieci, come direttore della mia casa di riposo, decisi di prendermi un anno sabbatico, almeno dalla casa di riposo, che affidai a colui che poi la acquistò, e così mi ritrovai ad avere improvvisamente molto tempo libero, ma dato che non c’ero abituato (ora sì), lo impiegai parzialmente per scrivere il mio primo romanzo.
Cosa hai provato quando il tuo libro è diventato un film?
Gioia quando me lo annunciarono… scrivi un libro, il primo e ne fanno un film, se non gioisci hai dei problemi, confusione durante l’anteprima di Milano, quando invece ebbi dei problemi. Mi successe una strana cosa, non capii nulla di come era stata trasposta la trama, se il film era bello o brutto, ma in ogni scena, in ogni battuta, in ogni attore, cercavo, direi quasi inconsciamente, tutti i segnali di questa trasposizione, quanto cioè di veramente mio (o dei miei personaggi in base alla presenza scenica degli attori) ci fosse nel film, vivendolo quindi come un susseguirsi di scene spezzettate. Dovetti vederlo tre volte per capire se mi piaceva oppure no. E dato che so già che mi stai per fare questa domanda ti rispondo: si, molto la prima parte, quella più vicino alla commedia, molto meno la seconda, quella del viaggio. Ci sarebbero voluti due registi, per soddisfarmi appieno: Simona e Ricky per la prima e Salvatores per la seconda. Ma direi che il risultato, a distanza di anni, non mi dispiace.
I tuoi libri non appartengono ad un unico genere, alcuni sono drammatici, ironici ed anche comici, cosa ti spinge a passare da un genere all’altro?
La voglia di cambiare, di non rispondere a nessuna etichetta (e questa non è una cosa buona, perché i lettori vogliono un romanzo che li sorprenda ma amano non essere troppo sorpresi, infatti, guarda caso, funzionano i gialli seriali, che io trovo insopportabili), ma soprattutto il fatto che nella mia natura convivono cinismo, calcolo, razionalità e tendenza alla sdrammatizzazione con sentimento, immediatezza, svagatezza e tendenza alla commozione, anche se mi commuovo quasi sempre per cose che non dovrebbero far tanto commuovere, per esempio quando gli Abbagnale vinsero le Olimpiadi di Seul nel 1988, con “bisteccone” Galeazzi che si esaltava, io, per rimanere in tema, piansi come un vitello. Ma quello che tiene insieme tutte queste contraddizioni, e che non mi fanno essere una persona contraddittoria, è, come si può apprezzare nei miei romanzi, una buona dose di (auto)ironia, l’acquisita capacità di essere una persona diretta e la grazia ricevuta di non prendermi mai troppo sul serio.
Spesso nei tuoi romanzi ci sono protagonisti d’età. E’ un caso o una scelta voluta?
E’ una scelta voluta, intanto perché avendo diretto questa casa di riposo per 10 anni conosco bene la vecchiaia, e poi perché mi piace descriverla nelle sue miserie ma anche nella possibilità di raccontare personaggi di grande spessore, che solo un vecchio, se è riuscito a conquistarla, perché la vecchiaia non va accettata, ma, appunto, conquistata, può avere, magari col suo carico di cinismo e fatalismo che i vecchi si possono permettere.
A febbraio di quest’anno è uscito il tuo ultimo romanzo “Le alternative dell’amore” che non parla solo di amore, come preannuncia il titolo, ma anche di guerra, rapporti tra le persone e anche una verità da scoprire. Raccontaci com’è nato?
Da una fotografia in bianco e nero che riprendeva due giovani vestiti come ci si vestiva negli anni quaranta, seduti su una panchina lungo la Senna (e che si abbracciano in quello che sembra essere un momento drammatico, o triste, forse un ultimo abbraccio prima di un distacco) e con in primo piano una barriera filo spinato che sapeva tanto di periodo bellico.
Quindi da questo viene la scelta di ambientarlo in Francia?
Non necessariamente. Cioè, a me interessava raccontare un amore impossibile durante la guerra e l’occupazione nazista, ma per un po’ ho pensato di ambientarlo in Italia, che sarebbe stato anche più facile, nelle Langhe, ad esempio, dove avevo tutto quel che mi serviva: la guerra, l’occupazione nazista, i partigiani, e non ultimi l’eccellenza del vino e del cibo, di cui il libro parla parecchio. Ma il romanzo racconta anche di un eccidio, quindi, non volendo occuparmi di un eccidio realmente accaduto (troppo delicato l’argomento), ho pensato che ambientarlo in Francia, cioè “lontano”, in un paese inventato fosse più agevole e non rischiassi ti toccare certe tragedie realmente accadute qui da noi (anche da loro, beninteso) che molti hanno vissuto, e poi avevo già inventato un paese in Italia in un altro romanzo, volevo cambiare ambientazione dell’invenzione. Infine mi piaceva affrancarmi dall’Italia, provando a cimentarmi con protagonisti che non fossero i “soliti” italiani.
Come scrittore immagino leggerai molto, quali sono le tue letture preferite?
Dipende, sono ondivago, io leggo i libri che per qualche motivo mi sembrano interessanti (recensioni, suggerimenti di qualche – pochi- amici fidati nei gusti, due librai di riferimento), quasi mai gialli soprattutto se sono seriali, quasi mai libri comici perché non mi fanno ridere, quasi mai romanzi scritti da donne perché… non so perché, le donne scrivono mediamente meglio degli uomini, ma sono un po’ come gli chef, cucinano meglio ma i venti migliori del mondo sono quasi tutti uomini, tant’è che se dovessi stilare la classifica dei miei venti romanzi preferiti, credo che quelli scritti da donne non siano più di quattro o cinque, adesso, ad esempio, che ci sto pensando, me ne vengono in mente soltanto due: Una desolazione di Jasmina Reza e L’estate che sciolse ogni cosa di Tiffany mc Daniel, ma il primo è scritto con la voce narrante di un uomo, che la Reza interpreta meglio di come qualsiasi altro uomo abbia mai descritto gli uomini, mentre Tiffany mc Daniel scrive come un uomo, tanto che mi accorsi con stupore che era scritto da una donna a metà romanzo. Invece leggo con interesse romanzi “di formazione” anche se adesso che sono formato mi interessano meno, mi piacciono poi quei romanzi dove trascorre “una vita”, nostalgici in qualche modo, e dove l’autore non sia troppo letterario, a meno che non lo sia perché davvero lo sa essere, Magris ad esempio. I miei scrittori preferiti sono Murakami, soprattutto nei suoi primi romanzi e De Carlo. Ovviamente ce ne sono altri, anzi qualcuno di loro ha scritto almeno un romanzo migliore del migliore di Murakami o De Carlo, penso a Shantaram o Stoner o Il Profumo, ma uno soltanto, invece i libri di questi due scrittori mi sono piaciuti tutti, o quasi.
Ultima domanda di rito, forse banale ma che interessa i tuoi lettori, progetti?
Nessun progetto. Io inizio a fare vaghi progetti sei mesi dopo la pubblicazione di un mio romanzo, a oggi ne sono passati quattro, te li dico dopo l’estate, forse.
Grazie davvero Lorenzo per il averci dedicato il tuo tempo, allora ci sentiamo tra circa due mesi per aggiornarci sui tuoi progetti.