Ilaria Scarioni, autrice del romanzo “Quello che mi manca per essere intera“, edito da Mondadori, si racconta in questa foto intervista rivelando tutto il suo carattere fresco, spontaneo e immediato.
Milanese di origine, Genovese di adozione, questo ci racconta la sintetica biografia riportata sul tuo libro; hai piacere di raccontarci qualcosa di più sulle tue origini e su come ti sei radicata nella tua attuale città di residenza, magari svelando un particolare che ti lega all’una e all’altra ?
Io sono milanese di origine, ho abitato in un paese alle porte di Milano fino ai miei diciannove anni, poi mi sono trasferita qui in Liguria per ragioni di studio, Genova però era già da tempo nella mia storia, come Bianca, sono stata una bambina dell’ospedale Gaslini, e il mio amore per questa città è nato lì, adesso senza mare farei proprio fatica a vivere. Sapere che c’è che bastano pochi minuti a piedi per godere di tutto quell’azzurro e del vociare è qualcosa che mi rende davvero felice.
Quale è stato il tuo percorso formativo ( non istituzionale ) ? Nei ringraziamenti del tuo libro citi le tue nonne… Cosa ti ha portato ad essere una scrittrice ?
Cosa mi ha portato ad essere una scrittrice? Ti direi che non sono una scrittrice, sono una persona che ha scritto un libro, che ha raccontato una storia, che spera di scriverne altre, tutto qua. Scrittrici o scrittori si diventa, penso, quando si resiste al tempo, al passare degli anni, quando le proprie parole sono talmente potenti da influenzare o lasciare un segno nel pensiero collettivo, o di un ‘epoca. Virginia Woolf è una scrittrice, io racconto storie ed è già un privilegio enorme.
Cosa fai nella vita di tutti giorni, quando non fai la scrittrice ?
Nella vita di tutti i giorni, cerco, a volte faticosamente, di concludere un percorso iniziato tempo fa, il libro ha fatto nascere in me il desiderio di mettere la parola fine a questa fase della mia vita. E’ il mio desiderio più grande, e per ora le mie energie sono canalizzate su questo obiettivo.
Quello che mi ha colpito incontrandoti è il tuo modo di comunicare immediato e solare; spontaneità e freschezza sono le caratteristiche che piú ti definiscono e che si ritrovano anche nella tua scrittura. Quanto è difficile difendere la propria natura in un mondo così competitivo ed inflazionato come quello della scrittura? Le incalzanti esigenze commerciali, per tua esperienza, rischiano di contaminare il lavoro dello scrittore oppure, al contrario, agiscono da stimolo? Come giudichi l’attuale panorama degli scrittori contemporanei ?
In realtà, almeno per me, è tutto più semplice. Il libro – ma questo discorso si può fare per qualsiasi ambito lavorativo e non – è arrivato dopo anni di psicoterapia e all’alba dei miei trentasette anni, un periodo in cui la mia bussola interiore, la mia centratura, se vogliamo chiamarla così, era sufficientemente solida da permettermi di conoscere il mio prezzo e di sapere esattamente a cosa avrei potuto rinunciare e cosa invece è per me imprescindibile. Sono anche molto fortunata perché sono protetta da amici fraterni che sanno contenere le mie eventuali ansie e mi tengono con i piedi ancorati a terra. Le esigenze commerciali, forse, contaminano chi vende molto, chi ha un pubblico che si aspetta un determinato prodotto e non è il mio caso.
Hai un luogo o un momento preferito dove raccogli le idee e ti dedichi alla scrittura ? Quando scrivi, per chi immagini di scrivere ?
Non ho un luogo preferito per scrivere, vivendo in 50mq scrivo dove c’è posto, cucina o divano; il divano è più complicato, tendo ad addormentarmi, il luogo mi è completamente indifferente; ho scritto in treno, in biblioteca, insomma dove capita, mi piace però che il luogo non sia troppo silenzioso, il silenzio mi distrae, preferisco sentire attorno a me la vita che scorre. Non immagino di scrivere per nessuno in particolare, sto solo attenta che il mio pensiero su carta diventi qualcosa di capibile per tutti e non solo per me. Bisogna imparare a scegliere cosa scrivere davvero tra tutto quello che si vorrebbe dire, di solito quello che finisce su carta è una piccola parte.
Ci sono parole che preferisci usare o parole che invece tendi ad evitare ?
Tutte le parole posso andare bene o possono essere profondamente sbagliate, è il contesto in cui le si inserisce che fa la differenza, la voce della storia che si racconta è lei stessa a scegliere le parole adatte o a eliminare quelle sbagliate che stonerebbero. Rileggere ad alta voce aiuta, se un testo ha una sua musicalità allora di solito si è sulla buona strada.
Da amante della fotografia, sono rimasto incuriosito da come tu abbia incastonato passaggi “fotografici” nello svolgimento della storia del tuo libro “Quello che mi manca per essere intera”. Qual è il tuo rapporto con la fotografia? La pratichi ? Ti senti a tuo agio ad essere fotografata ? Tra vent’anni, cosa vorresti cogliere in tuo ritratto di oggi ?
La fotografia mi affascina, mi piace sfogliare i libri di fotografia e andare alle mostre, mi incuriosiscono soprattutto i ritratti delle persone, starei ore ad osservare i ritratti, a sbirciare i dettagli, e mi piacerebbe essere capace a fotografare, ma ignoro anche i rudimenti, chissà prima o poi mi iscriverò a un corso e tirerò fuori dall’armadio la vecchia reflex di mio papà e le darò nuova vita, per ora mi accontento del telefonino e di scattare fotografie bruttine di momenti belli. Come Bianca, fino a qualche anno fa non amavo essere fotografata, adesso invece non mi dispiace, sto facendo pace con la mia immagine corporea ed essere fotografata, rivedermi in foto mi aiuta in questo processo di pacificazione. Spero tra vent’anni riguardando le mie foto di riconoscere lo sguardo di una persona felice.
Bianca, la protagonista del libro, affetta da una malattia congenita che le ha deformato fin dalla nascita mani e piedi, quando fa sesso si sente a proprio agio, le sue paure sembrano svanire, tacere. In un’altra intervista che ti hanno fatto, spieghi come Bianca trovi i confini del suo corpo, proprio nell’incontro con il corpo dell’altro. Trovo questo passaggio importante perché avviene un ribaltamento di prospettiva: considerando infatti che oggi le statistiche ci raccontano di un’incidenza sempre maggiore delle disfunzioni sessuali, sintomo, esclusi i problemi fisici, dell’incapacità di ascoltare le proprie emozioni e di relazionarsi con il prossimo; Bianca su di un piano emotivo dimostra di essere un passo avanti, proprio perché viene da un certo percorso. In un paradosso quindi la diversità diventa uno strumento di vantaggio in questa società che ci rende sempre di più degli analfabeti emotivi. Cosa possiamo fare per invertire la rotta ? Cosa ne pensi dell’educazione sessuale ( aggiungerei anche quella emotiva ) nelle scuole ( in Italia sempre un grosso tabù ) ?
Non so se si possa insegnare l’amore, non credo, e non penso che tutti gli individui siano in grado di amare allo stesso modo; bisognerebbe anche mettersi d’accordo sul significato della parola amore e di cosa significhi amare, ciascuno di noi ha la propria idea e spesso si fa l’errore di proiettare sugli altri il proprio modo di amare credendo che per tutti sia più o meno la stessa cosa. Forse, l’unico modo per imparare ad amare davvero è per imitazione, crescere tra persone che si amano potrebbe aiutare a sviluppare l’empatia e la capacità di amarsi e di amare. Ma non credo ci sia una soluzione adatta a tutti, e ciascuno di noi deve fare il proprio percorso, non so quanto si possa istituzionalizzare tutto. I corsi di educazione sessuale vanno bene per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibile e le gravidanze indesiderate, l’amore è un tema scivoloso e talmente enorme che la vedo difficile relegarlo a materia di studi.
Come in tutte le cose, la prima volta non si dimentica mai: quale sarà il ricordo che conserverai con più affetto legato all’uscita del tuo primo romanzo ?
La sensazione più forte che ho avuto tenendo in mano il libro per la prima volta, e che cerco di ricordarmi nei momenti di difficoltà, è quella di una grande felicità, una felicità di pancia, profonda e radicata, e che apparteneva e appartiene solo a me e che nessuno mi potrà mai togliere. Scrivere un libro non è niente di eccezionale, chi scrive non è dotato di un’intelligenza o di una sensibilità maggiore di chi non scrive, semplicemente si è messo lì e ha scritto, ma è qualcosa che si fa da soli. Quando ho visto il libro ho pensato ecco questo l’ho fatto io, e se ho fatto questo posso fare anche tutte quelle cose che mi fanno paura, posso almeno provarci. Cerco di ricordarmi quel momento quando mi impanico. E succede spesso.
Prima del nostro incontro ti ho chiesto di pensare ad un libro del cuore, con il quale ti vorrò ritrarre, qual è il suo titolo e perché lo hai scelto ? C’è un passaggio particolare che ci vuoi citare ?
Libri del cuore ce ne sono tanti, come di amori nella vita, ma uno mi è rimasto più di altri addosso, soprattutto un passaggio in cui ho trovato quella che per me è una grande verità. Un verità ovvia ma forse per questo più difficile da riconoscere. Il romanzo è L’arte della gioia di Goliarda Sapienza, e questo è il brano che si indelebilmente fissato nella mia mente:
“Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare:studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, abnegazione. Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man a mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo, li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel “mio“ contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima. E il mio odio crebbe: l’odio di scoprirsi ingannati.“
Per me sei stata la scrittrice rivelazione del 2017: ho trovato il tuo libro davvero bello, ben strutturato e la storia su tutti i suoi diversi livelli è coinvolgente, stimolante e, seppur tocchi argomenti delicati, non è mai cupa, ma anzi lascia sempre una sensazione positiva. Lo stile di scrittura è scorrevole, fresco, immediato ed efficace, mai banale. Detto questo … rassicuri me e i tuoi fan che presto ci regalerai un’altra storia ?
Speriamo, incrociate le dita per me, io sto scrivendo, poi chissà…
Foto e intervista di Gianluca Russo