“La casa degli spiriti” di Isabel Allende: una bellezza travolgente. Lo lessi tanti anni fa, forse l’anno stesso in cui fu pubblicato in Italia, il 1983; eppure, contrariamente a quello che di solito mi capita, lo ricordo bene.
È la saga di una famiglia che ha origine in una dimensione epica, quasi fuori dal tempo, dove realtà e immaginazione, fatti storici ed elementi soprannaturali, si sovrappongono creando quelle atmosfere magiche e oniriche che si ritrovano anche in altri straordinari romanzi sudamericani come Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez o Storia di Garabondo l’invisibile di Manuel Scorza.
Esteban Trueba, il patriarca, che non riesce ad accettare il destino e si trasforma in un despota; Clara sua sposa, più per avversità che per volontà, che nella sua apparente fragilità è la vera guida spirituale della famiglia; Bianca, loro figlia infelice, che caparbiamente continua a inseguire il suo sogno d’amore contro il volere del padre (e lo coronerà): sono personaggi indimenticabili di un mondo che sembra lontano e vagamente favolistico.
Ma poi la saga si evolve verso una dimensione sempre più reale e drammatica, fino ai giorni veri, quelli del golpe infame nel Cile di Pinochet dell’11 settembre 1973, le torture, le stragi (peraltro Pinochet non viene mai citato esplicitamente). Lo stupro di Alba, nipote di Esteban e Clara, è lo stupro che la realtà fa al sogno, che il peccato fa all’innocenza. Eppure, anche in quell’orrore che semina morte, c’è il germe della rinascita. Alba paga per le colpe di Esteban, lo spirito di Clara ritorna a guidare la famiglia, la figlia che Alba porta in grembo avrà forse e finalmente una completa emancipazione dal retaggio del passato, il patriarca troverà infine la pace che, in un’intera intensissima vita, non aveva mai capito di avere alla distanza di un gesto di umiltà e di un sorriso.
“La casa degli spiriti” è un romanzo meraviglioso, che sa toccare le corde più profonde dell’anima, delicato come una carezza e duro come una pugnalata. È un romanzo al femminile (e anche femminista), sia perché le donne ne sono le protagoniste indiscusse, sia, soprattutto, per la sensibilità davvero unica con cui la scrittrice permea ogni evento, ogni gesto, ogni parola del romanzo.
“La casa degli spiriti”, infine, canta la supremazia dell’amore sull’odio, della ragione sul fanatismo, e pare in qualche modo essere la sublimazione delle ultime parole che il presidente del Cile Salvador Allende, cugino del padre di Isabel, pronunciò prima di essere assassinato dai golpisti nel 1973:
“Sono pronto a resistere con ogni mezzo, anche a costo della vita, in modo che ciò possa costituire una lezione nella storia ignominiosa di coloro che hanno la forza ma non la ragione”.
Concludo dicendo una cosa di cui un po’ mi vergogno: non ho mai avuto il coraggio di leggere altri libri di Isabel Allende, “La casa degli spiriti” mi e piaciuto così tanto che sono come timoroso di non ritrovarne l’indelebile bellezza.
Isabel Allende, cilena nata a Lima il 2 agosto 1942, è scrittrice tra le più famose e celebrate al mondo; con “La casa degli spiriti” ha dato il via ad una carriera strepitosa, costellata da decine di libri di grande successo pubblicati in tutto il mondo, in Italia da Feltrinelli. Tra questi, “D’amore e ombra” (1984), “Eva Luna” (1987), “Il piano infinito” (1991), “Paula” (1994), “La figlia della fortuna” (1999), “L’isola sotto il mare” (2009). Il suo ultimo romanzo, “Oltre l’inverno”, è del 2017.
Vittorio Benzi, 5 agosto 2018