Intervista a Maurizio De Giovanni

Intervista di Cristina De Regibus

Maurizio De Giovanni, napoletano, classe 1958, comincia a scrivere a 40 anni, non proprio da ragazzo. Chiederemo direttamente a lui dei suoi esordi e della passione per la scrittura.

Ho avuto l’onore e il piacere di ascoltarlo raccontare dei suoi libri e non solo diverse volte, ma l’ultimo incontro, durante una bella serata in occasione del festival letterario genovese Incipit, è stato magico. Nella particolare sala prive di un locale di Genova, Maurizio in compagnia di Bruno Morchio, Leonardo Gori e Andrea Carlo Cappi, hanno ricordato Andrea G. Pinketts eclettico scrittore di gialli, prematuramente scomparso lo scorso dicembre. Avere la possibilità di ascoltare, quasi a tu per tu, gli autori di romanzi, in maniera intima e rilassata, sorseggiando un drink, crea un trasporto ed una complicità che non è possibile riscontrare durante le presentazioni nelle librerie o nelle grandi sale.

Sta di fatto che sono letteralmente stata stravolta dal modo avvolgente di raccontare di Maurizio, che ringrazio per essersi reso disponibile a rispondere al qualche domanda.

Innanzitutto ringrazio per i complimenti immeritati e preciso che non ho cominciato a scrivere a 40 anni ma quasi a 50!

La prima è di routine, come ti sei avvicinato alla scrittura? Tutti sappiamo che hai mandato un tuo scritto ad un concorso per giallista esordienti ma prima, avevi già qualcosa di scritto nel cassetto?

Questa meravigliosa avventura, come correttamente ricordi, è cominciata quando alcuni colleghi (nella vita precedente lavoravo in banca) mi iscrissero a un concorso letterario per giallisti esordienti sponsorizzato dalla Porsche, concorso che vinsi contro ogni pronostico. Non avevo niente nel cassetto, tanto è vero che quando un agente letterario, immaginando che esistesse, mi chiese il romanzo con protagonista il mio Commissario Ricciardi, che invece avevo inventato durante il concorso, presi le ferie e scrissi Il senso del dolore, che originariamente si intitolava Le lacrime del pagliaccio, in due settimane. A dire il vero, tuttora non ho niente nel cassetto. Scrivo quello che mi chiedono di scrivere quando me lo chiedono, e lasciato a me stesso leggo. Non ho il fuoco sacro della scrittura e potrei vivere benissimo se smettessi con i romanzi, ma non potrei mai allontanarmi dalla lettura, che è parte integrante e irrinunciabile della mia vita.

Sei uno scrittore affermato di gialli, hai mai pensato di cimentarti in altri generi?

A dire la verità, molte volte. Finalmente pare sia riuscito a convincere il Gruppo edito- riale con cui lavoro e tra un paio di anni al massimo verrà pubblicato, credo da Mondadori, un libro d’amore. Intanto in questi anni ho scritto un libro sul calcio per Rizzoli, Il resto della settimana, vale a dire quell’inutile lasso di tempo tra una partita del Napoli e l’altra. Anche questa, a pensarci bene, una storia d’amore.

Ho letto che prima di essere uno scrittore sei un accanito lettore, quali sono i romanzi che hai amato di più ? Ce n’è uno in particolare? E quali sono gli scrittori che ti hanno ispirato?

Ho amato tantissimi libri nella mia vita. Se me ne chiedi uno in particolare devo per forza rispondere Il Conte di Montecristo, il libro della vendetta, che mi capita di rileggere almeno una volta all’anno. Per quanto riguarda gli autori cui mi sono ispirato, l’omaggio esplicito nei romanzi della serie de I Bastardi di Pizzofalcone è a Mc Bain e al suo Ottan- tasettesimo Distretto. Cinquantacinque libri meravigliosi che cerco di tener sempre pre- senti. A mio avviso, autore tuttora insuperato nel genere.

I tuoi personaggi sono diventati tutti famosi, dal commissario Ricciardi a l’ispettore Lo iacono, per non parlare di Sara, come riesci a creare questi personaggi, così diversi tra loro? Ci si affeziona a questi protagonisti, quasi fossero reali?

Sembra un vezzo, ma i personaggi esistono. Lo scrittore li trova e li mette su carta ma esistono e si muovono in assoluta autonomia. Ovviamente la trama gialla non può essere improvvisata, ma le interazioni tra personaggi sono libere. E tali devono restare, altrimenti il lettore si accorge della forzatura. I miei personaggi li ho tutti inventati nel senso latino del termine: trovati per caso, forse nati dalla rielaborazione più o meno conscia di tipi umani che ho conosciuto direttamente e di cui ho letto in altri libri, ma reperiti così come sono, E raccontati e amati così come sono arrivati a me.

Cosa hai provato quando hai scritto l’ultima riga de “Il pianto dell’alba?”

Sono stato fedele alla storia, che per me era finita. Il personaggio non è un bancomat: proprio per rispetto a quello più amato tra i miei, ho deciso di interrompere la saga. Non è detto che non torni a trovarlo, magari negli anni Sessanta. Ma sin dall’inizio avevo pensato che la guerra avrebbe rappresentato uno stop necessario. Di certo Ricciardi mi manca ma non cambio idea. Forse affiderò a Bambinella il compito di raccontare ai lettori la vita degli altri personaggi. Ma di Ricciardi e ovviamente di Enrica non parlerò più.

“I bastardi di Pizzofalcone” è diventata una serie tv di successo, come ti sei sentito vedendo i tuoi personaggi sullo schermo? Quanto hai collaborato nella realizzazione della serie?

Per i Bastardi ho scritto le sceneggiature. Tenendo presente che televisione e scrittura sono due linguaggi profondamente diversi, ho apprezzato la fiction per quanto possa farlo chi non è massivo fruitore di sceneggiati RAI.

Anche le avventure di Ricciardi diverranno una serie tv, giusto? Anticipazioni? 

Anche Ricciardi andrà in TV. Ma di questo so ancora meno. Sarà liberamente tratto dai miei libri.

C’è un libro di un altro scrittore che avresti voluto scrivere tu?

L’amore ai tempi del colera.

Vorrei terminare questa intervista come ho cominciato, con una domanda di routine, programmi futuri? O si vive alla giornata?

I libri sicuramente sono programmati. Fino a quando ce la farò, cercherò di mantenere le quattro uscite annue che sembrano non aver stancato i lettori. Improvvisato sicuramen- te sarà il teatro. Mi sono scoperto autore apprezzato di testi teatrali e siccome mi diverto molto, intendo continuare. Ringrazio ancora tantissimo Maurizio per la sua disponibilità e per essere uno scrittore magnifico ma sempre semplice, che oltre a scrivere, ama soprattutto i suoi lettori. Grazie