“Non quinta teatrale, ma protagonista reale, splendida e oscura come la storia che racconta, è Genova” – dalla nota introduttiva del libro “le ali dell’Angelo”.
Ed è proprio in uno dei luoghi più privilegiati e più suggestivi di Genova, la spianata di Castelletto, che ci siamo dati appuntamento con Antonella Grandicelli per chiacchierare con lei di scrittura, dei suoi progetti e del suo romanzo di esordio “Le ali dell’Angelo”.
Foto e intervista di Gianluca Russo
Da questa splendida terrazza cittadina, peraltro motivo di ispirazione per diversi scrittori e poeti, si può ammirare Genova in tutta la sua maestosità, rimanendo al contempo incantati ed intimoriti dal dedalo di vicoli che si sviluppa ai propri occhi; strade, stradine, o più propriamente caruggi, che appaiano e scompaiano fra palazzi, chiese e mura che, come un intestino accolgono, raccolgono, imprigionano e proteggono da secoli chiunque, per volontà o destino, approdi alle porte d’ingresso di questo magmatico labirinto, trasformandolo, in qualche modo, per sempre.
Genova è una contraddizione continua e durevole nel tempo, perché unisce e costringe alla convivenza delle umanità profondamente differenti; per questo, ogni Genovese ama e allo stesso tempo odia la propria città, ereditando quindi dalla nascita, come fosse un tratto genetico, il diritto ad un “lamento perenne”, anche detto “mugugno”. Qual è la Genova che ti rende orgogliosa e quella che invece stuzzica il tuo “mugugno”?
Amo profondamente la mia città e quando ho scritto “Le ali dell’angelo” l’ho fatto anche per parlare di lei. Credo infatti che si possa definire una protagonista a tutti gli effetti, in quanto molte delle sue caratteristiche – i chiaroscuri, la capacità di accogliere e respingere, il carattere impervio e l’anima poetica – si riflettono sui personaggi, li plasmano e li accompagnano. Genova è una città fatta di contraddizioni, così come è la sua natura di mare e di monti, che sa essere incredibilmente forte e fragile, aperta al nuovo e racchiusa su di sé. Questo è ciò che mi piace di lei e che al tempo stesso a volte mi irrita, forse perché ci ritrovo molto del mio carattere. I genovesi hanno dimostrato più volte nella loro storia di sapersi compattare e contrastare insieme eventi tragici, anche se sono e restano un popolo solitario e – come si dice nella nostra bellissima lingua – “sarvægo”. A volte persino troppo.
Il tuo romanzo “Le ali dell’Angelo” è un noir atipico, che abbina ai caratteri del thriller, con passaggi talvolta anche molto duri, melodie squisitamente poetiche ed intimistiche.
La storia ha inizio con un omicidio, molto cruento, e si sviluppa con le conseguenti indagini, che avvengono però sue due piani di analisi diversi, uno più oggettivo, per mano del detective che prenderà in carico il caso, e uno più soggettivo/introspettivo, che invece saranno portate avanti da un altro protagonista del libro. (non dico troppo per non fare spoiler)
Come prima domanda, la vicenda trova ispirazione in un fatto di cronaca o è di tua invenzione? La seconda curiosità invece riguarda gli aspetti più espressivi: da dove nasce la scelta, per certi versi ardita, ma anche innovativa, di abbinare due stili così apparentemente distanti?
La vicenda è interamente frutto di fantasia, anche se tutto quello che leggiamo e vediamo sedimenta dentro di noi per poi riapparire inconsapevolmente. Per come ho pensato i due protagonisti principali, avevo bisogno di un catalizzatore forte che li ponesse a confronto e uno sviluppo che li mettesse alla prova. L’indagine ufficiale, che è l’ossatura della trama, non è l’unica, poiché esistono parallelamente indagini personali ed interiori che coinvolgono proprio il commissario Vassallo e Luigi Martines e che non sono meno importanti. Non nascondo che l’idea di unire gli elementi del romanzo noir con una scrittura introspettiva che tanto debito ha con uno stile più poetico, mi è parsa da subito una sfida insidiosa ma anche affascinante, che ho affrontato con entusiasmo e dedizione, lavorando molto sulle parole e sulle atmosfere e, al tempo stesso, cercando di mantenere alti i livelli della tensione narrativa. Insomma, posso confessare di aver tentato un esperimento, il cui successo solo i lettori possono decretare.
“Ho sempre creduto che essere poeti fosse una vocazione, talvolta una condanna. In realtà credo che spesso sia una medicina, un oppio al quale si chiede di custodire il proprio dolore dentro un confine, di stivarlo in un quaderno, di chiuderlo dentro una bottiglia. Il poeta è un uomo che non sa vivere, non come vivono gli altri almeno. Sente che esiste uno scarto tra la sua esistenza e la realtà che si muove insieme a lui, un’asincronia che le rende parallele ma non tangenti, che a volte è impercettibile e a volte è un abisso e non ne conosce la ragione “ Dalle Ali dell’Angelo.
Questo passaggio del libro si riferisce ovviamente ad uno dei principali protagonisti, Luigi Martines, il poeta, ma immagino che racconti molto anche di te, essendo anche tu autrice di poesie. Ti ritrovi nella tua descrizione del “poeta”? Hai mai pensato di pubblicare alcune delle tue poesie in una raccolta? Potresti “regalarne” una hai nostri lettori?
Ho pensato uno dei protagonisti del mio romanzo un poeta perché credo che la poesia, spesso guardata con diffidenza perché ritenuta qualcosa di intellettuale, distante dalla realtà della vita, sia la forma più pura ed essenziale d’espressione umana, l’unica vera voce di ciò che siamo, il solo specchio in cui guardarci. Doloroso, certo, a volte deludente, ma anche l’unico mezzo per capire e per capirci, per ricongiungerci con tutti gli elementi dell’universo. Questa credo sia la ragione per cui leggo e scrivo poesie. Anche se ho sempre scritto spinta da un impulso personale, non ritengo le mie poesie qualcosa di privato o di sacro, quanto piuttosto appunti di viaggio, bagliori, frammenti di un attimo in cui cercare di individuare dei segni, senza pretesa d’eternità ma con l’intento di provare ad aprire spiragli. Se trovassi qualcuno interessato ad un tale progetto, non vedrei ragioni per non condividerle. Per questo sono felice e vi ringrazio dell’opportunità che mi regalate, perché nei miei versi potete trovare molto di me:
(I)sola
Seduta in bilico
lo spazio sostiene
il mio esistere –
oltre il passo oltre il suono
posso guardare
e infine tacere
per quel blu che mi tinge
i piedi le mani –
mi sporgo
in un lago d’assenze
che richiamo a me
come se fosse reale
riaverle –
qui non c’è densità
per voci per nomi
questa è terra d’asciutto,
astratto è persino il respiro
ma io amo – l’osso di seppia
il canto muto della pietra
la terra d’ulisse
dove pianto è il ritorno –
per questo
chiamatemi (i)sola.
Chiedo sempre all’intervistato di portare un oggetto con sé, che sia per lui significativo e che, in un certo qual modo, lo rappresenti; tu hai scelto il libro. Ci vuoi spiegare perché?
Non riesco a ricordare un momento della mia vita in cui non avessi un libro tra le mani, l’ho sempre considerato come un rifugio, un compagno di viaggio, un oggetto totemico, a volte anche una medicina. E ho sempre creduto che fosse nel mio destino, da quando, il primo giorno di scuola materna, avevo quasi tre anni, tra i tanti distintivi che le maestre assegnavano ai bambini per riconoscerli a me fu destinato il “libro aperto”.
Ovviamente il libro ritratto nella foto, non è un libro a caso, ma risponde anche alla successiva domanda rituale, qual è il tuo libro del cuore? Ci spieghi che significato ha avuto per te questo testo e se hai un passaggio che ti è rimasto particolarmente impresso da condividere con noi?
Uno dei più bei momenti della mia vita è stato quando a cinque anni una vicina di casa mi regalò un’intera scatola di libri appartenuti al figlio ormai adulto: fu così che conobbi “I figli del capitano Grant”, “L’isola misteriosa”, “Il giro del mondo in ottanta giorni”, “Senza famiglia” e soprattutto “L’isola del tesoro”, un libro che mi appassionò dalla prima pagina e che da allora ho letto e riletto infinite volte. È una storia che contiene tutto: il romanzo d’avventura e quello di formazione, azione e mistero, personaggi oscuri e una realtà che cambia a seconda di come tira il vento. E che ci ha dato lui, Long John Silver, il pirata con una gamba sola, uno dei personaggi più vividi e più veri dell’intera letteratura. Silver è uomo dalle mille vite, capace di interpretare la realtà con un colpo d’occhio e viverla sul filo del rasoio, vera incarnazione dell’animo umano fatto di chiaroscuri e istinto di sopravvivenza, assolto dalla sua stessa sfacciataggine e dalla sua intelligenza, perché in fondo sincero con sé stesso quanto gli altri non lo sono. “Ero quasi disperato di perdere questo malloppo e rischiare di essere impiccato per giunta. Ma ho visto che tu sei di buona razza. E mi son detto: sostieni Hawkins, John, e Hawkins sosterrà te.”
Il tuo lavoro ti porta spesso lontano da Genova, ma anche nel tempo libero ti piace trovare spazio per viaggiare. Qual è un luogo che ti è rimasto particolarmente nel cuore? Lo ritroveremo in qualche tuo racconto o libro futuro?
Anche se come ho detto avverto profondamente le mie radici genovesi, il viaggio è una dimensione in cui sto bene e tendo, dopo pochi istanti che sono in un posto, a chiamarlo casa. Sento il fascino delle grandi città come Parigi, Londra, Madrid, ma nella mia mente risplendono le luci e i colori dei paesaggi del nord, come quelli delle isole scozzesi, dell’Irlanda o di un luogo che mi ha completamente attratto a sé, l’Islanda. Chi è attento lettore, può scorgere in ciò che scrivo echi di molti dei luoghi che ho visitato e forse in futuro, chissà, qualche storia potrebbe anche trovarvi radici.
Da meno di un anno è nato The Melting Pop, uno spazio digitale dove, assieme ad Arianna Destito Maffeo, parlate di storie, racconti, libri, attualità, idee, vuoi raccontarci qualcosa di più su questo progetto ?
Il blog themeltingpop.com rappresenta per me e per Arianna, la scrittrice che con me se ne prende cura, una grande sfida e una grande passione. Come già il nome svela, lo abbiamo concepito come un paesaggio in evoluzione, come una piattaforma che possa attingere da ogni colore e sulla quale storie, eventi, idee, luoghi e narrazioni possano trovare uno spazio comune e aperto. Proponendo racconti, recensioni, istantanee da luoghi o eventi, si rivolge a tutti coloro che sono curiosi di vedere la realtà da un’altra prospettiva, che non si accontentano di conoscerla attraverso la focale fissa di una cartolina o di approcciarsi alla lettura seguendo i soliti sentieri. The Melting Pop vuole essere una piazza dove si incontrano idee e voglia di condividerle. Per questo, invito tutti a leggerlo e a far parte del nostro gruppo Facebook per interagire con noi e con chi come noi guarda con curiosità ad ogni aspetto della cultura e della società.
Il 2020 è un anno che purtroppo difficilmente dimenticheremo, un appuntamento con la storia che ha visto tutta l’umanità coinvolta nella lotta ad una calamità invisibile, ma quanto mai spietata, il covid-19. Il pensiero principale ovviamente va alle vittime ed ai loro congiunti, che hanno pagato il prezzo più alto, la loro vita, e quindi a coloro che hanno combattuto in prima linea per arginare il dilagarsi della pandemia e per garantire i servizi primari, quindi medici, personale sanitario, forze dell’ordine, farmacisti, commessi dei supermercati, trasportatori e molte altre categorie. Le conseguenze del contagio e del contenimento hanno però segnato la quotidianità di noi tutti. Come hai vissuto questo periodo di quarantena e quali sensazioni ti sono rimaste?
Come credo sia successo a molti, ho vissuto i giorni della quarantena come qualcosa di surreale. Uno scenario imprevisto, che ci ha trovato totalmente impreparati a tutti i livelli, da quello più alto degli organi che ci governano e che hanno dovuto prendere decisioni da cui è dipesa la vita di tutti; a quello scientifico su cui facevamo affidamento ma che ha mostrato i suoi limiti; a quello personale, di totale spaesamento e, in certi casi, paura. Una situazione che ci ha scoperto deboli laddove credevamo di essere forti, fragili dove ci sentivamo invincibili, ma che, ancora una volta, ha messo in evidenza il coraggio e l’abnegazione di tante persone che non si sono tirate indietro. Ma se dovessi dire un sentimento che ha prevalso sugli altri sarebbe un forte senso di compassione per i tanti anziani – quelli nelle residenze assistite, ma anche quelli rinchiusi nelle proprie case – che hanno dovuto affrontare da soli, senza il conforto di un abbraccio, di una stretta di mano, anche solo di un sorriso, questi giorni terribili.
Siamo alle battute finali ed è fatidica la domanda, progetti futuri? Stai lavorando ad un nuovo libro? Sentiremo ancora parlare di Martines e/o del commissario Vassallo ?
Quando penso ad una storia, dedico ad essa tutta la mia attenzione, mi ci racchiudo dentro e la vivo fino in fondo, senza ragionare a lungo termine. Ci sono storie, e con esse personaggi, che si chiudono con la parola “fine”, altre che hanno ancora da raccontare. Nel momento in cui ho terminato “Le ali dell’angelo”, ho sentito dentro di me che Martines e Vassallo avevano ancora molto da dirmi. Per cui, sì, c’è un nuovo capitolo nella storia del Poeta e del Prete, la cui uscita è prevista nel 2021 e che sarà a disposizione di chi, come me, vorrà saperne di più su di loro. Un capitolo che li vedrà di nuovo insieme ma in modo diverso e che ci porterà ancor più vicino a queste due personalità così complicate. Non dimentico inoltre Tawfiq, altro personaggio nato con “Le ali dell’angelo”, che amo molto e che nel 2019 si è preso uno spazio tutto suo nell’antologia “Tutti i sapori del noir”edita da Fratelli Frilli Editori e che riapparirà ancora nella prossima antologia in uscita nell’autunno 2020.
Grazie Antonella per la tua disponibilità ed il piacevole pomeriggio.