«Vorrei essere di nuovo nella mia casa e che questa guerra fosse finita. Ma tu ora non hai più casa – pensò Anselmo – Dobbiamo vincere, prima che tu possa ritornare nella tua casa.».
Ho finito ormai da tempo di leggere “Per chi suona la campana” di Ernest Hemingway. Prima di decidermi a recensirlo l’ho lasciato “sedimentare”. Sì, perché mai prima, avevo letto un libro dove per 500 pagine non succede quasi nulla, fino al drammatico finale.
Forse è stata la conoscenza di questa peculiarità del romanzo che mi ha frenato per anni dal leggerlo, temevo potesse annoiarmi? A lettura compiuta posso assicurare che non è stata noiosa per niente.
I fatti raccontati sono quelli che precedono un’azione di guerriglia durante la guerra civile spagnola nel ’36, tutti finalizzati all’assalto ad un ponte che un gruppo di repubblicani antifranchisti hanno ricevuto l’ordine di far saltare.
Per tutto lo svolgimento del romanzo, certo non breve, sono raccontate attimo per attimo, nei tre giorni che precedono l’attacco, le vicende del gruppo di rivoltosi, riluttanti, eppur determinati, a compiere quell’atto di cui neppure conoscono le finalità strategiche. E tuttavia sono consapevoli che le conseguenze saranno per loro comunque devastanti, anche in caso di successo.
Il lento incedere dei minuti è scandito dalle parole, dai pensieri e dai gesti dei protagonisti, fa immergere nella vicenda che viene vissuta come fosse in tempo reale, come se il lettore ne facesse parte in prima persona, e crea poco e poco la tensione verso l’azione finale; ma tutto questo è secondo me secondario nella costruzione del romanzo. Quello che si genera, pagina dopo pagina, è la definizione dei personaggi, che emergono quasi come fossero scolpiti sui monti intorno a Segovia dove si svolge la storia.
L’ “inglés”, dinamitardo americano dal nome un po’ fasullo di Robert Jordan, romantico intellettuale libertario; Pablo, il capo della banda partigiana, oscuro, riottoso, forse inaffidabile; la sua compagna Pilar, vera leader del gruppo, risoluta, prepotente e beffarda; Maria, la giovane che ha subito abusi e torture dai franchisti e che finisce per innamorarsi dell’ “inglés”; e poi il vecchio Anselmo, il gitano Rafael, Fernando, Augustin e tutti gli altri della banda di Pablo, preparati al loro destino. Poche sono le divagazioni dal filone principale della storia, anche queste rappresentate da personaggi emblematici, come “El Sordo”, capo della banda che deve garantire la fuga agli uomini di Pablo dopo l’azione, o come Andrés, che tenta disperatamente di raggiungere il comando repubblicano per avvisare che i fascisti sono venuti a conoscenza di un imminente attacco.
Sono tutte e tutti personaggi straordinariamente reali, certamente ispirati dai volti di uomini e donne che l’autore ha conosciuto in Spagna durante il suo lavoro come inviato speciale per la stampa statunitense durante la guerra civile.
I dialoghi brevi e secchi si alternano ai pensieri dell’”inglés” e degli altri protagonisti, costruiti anch’essi come dialoghi con loro stessi, con le loro paure, convinzioni, sogni e speranze. Un modo di scrivere che mi ricorda i libri del Neorealismo italiano, da Pavese a Vittorini, da Cassola a Fenoglio, tutti autori che certamente furono influenzati da Hemingway.
I bellissimi, indimenticabili, protagonisti non sono eroi votati al sacrificio, sono uomini e donne che paiono consapevoli di essere “naturalmente” destinati, loro malgrado, a costruire un futuro di giustizia e libertà in una nazione nuova, o almeno provare a farlo, come minimo ad indicarne la strada. A parte Robert Jordan, non sembrano avere una chiara coscienza politica del loro agire, sono guidati solo da un irrefrenabile istinto libertario; la bomba come una “fiaccola dell’anarchia”, secondo le parole di un’altra storia più o meno coeva ambientata intorno a Bologna.
In definitiva “Per chi suona la campana” è davvero un grande, grandissimo romanzo, di quelli che fanno epoca, di quelli che saranno ricordati per sempre nella storia della letteratura, determinante, credo, nella scelta dell’Accademia svedese di conferire il Premio Nobel all’autore nel 1954.
Vittorio Benzi, 26 dicembre 2023