‘“Chi non ha sofferto, canticchia. Chi ha sofferto, canta!”.
La dorsale appenninica disegna il corpo sinuoso dell’Italia nel suo malizioso tacco – punta, abbellito da una bassa cintura che porta il fregio dell’osso pezzillo: il promontorio del Gargano. Più sotto, tra il mare e i monti, si apre il flusso verdeggiante delle colline punteggiato da antichi borghi abbarbicati da tempo immemorabile: l’Irpinia. Isidoro Raggiola, il protagonista del romanzo, nasce qui, a Mattinella che era un paese contadino, un paese di collina, chiuso e fiero nelle sue tradizioni. Isidoro riceve in dono dalla vita il prodigio dell’urlafischio: “Quando ero appena nato ho stretto gli occhi, i piccoli pugni blu per la tensione. Avevo aperto la bocca e mi ero fatto rosso come tutti i neonati. Ma non avevo pianto. Eh no, avevo urlato, ma non avevo pianto. Avevo fatto Pri, avevo fischiato”, talento che negli anni affina grazie agli insegnamenti del merlo Alì, fino ad ideare un fischiabolario, che gli consentirà, qualche anno dopo, di veicolare messaggi propagandistici al popolo. L’infanzia di Isidoro è tutta racchiusa nel nido famigliare che trabocca d’amore e d’incanto tra due genitori insoliti quanto straordinari. La madre Stella Dimare è una donna morbida e corposa, dal sorriso grande, pastaia di professione e capace di manipolare, trasformare, ideare forme inverosimili per ogni occasione. E’ lei che sostanzia la peculiarità di Isidoro con la storia bellissima che lui vuole riascoltare tante e tante volte prima di addormentarsi e che si intitola: “In principio era il fischio, e il fischio era presso Dio Il fischio era Dio”. Il padre Quirino, strabico, con una visione monoculare che adatta alle situazioni e agli stati d’animo, è un sindacalista attento ai cambiamenti storici, comunista, grande estimatore di Bach, sagace inventore di neologismi che fanno parte del lessico familiare e che rientrano nei giochi e nei rituali quotidiani che legano profondamente la famiglia. Quirino è a suo modo un intellettuale e ne sono la prova le “Lettere d‘amore scritte in bagno” per la moglie e il figlio, per i Poveri della terra, per Johann Sebastian Bach, per l’allora Presidente della Repubblica italiana Pertini, per se stesso e per l’uomo e per Dio e infine per i pomeriggi di noia così carichi di occasioni esperienziali e creative. Durante la seconda infanzia, Isidoro vive come un bambino della sua età: va a scuola e nel tempo libero si accompagna in piccole scorribande di paese ad Ardo e Marella. In questo periodo incontra Nocella, soprannominato Panzone, fisarmonicista di paese che impressionato dalla dote dell’urlafischio lo porta in tournee nel circondario: è un successo di pubblico affascinato dal singolare duo attraverso il quale la coppia tenterà, tra una esibizione e l’altra, di avvicinare il popolo al comunismo e alla lotta di classe. Segue l’incontro con Reno, antropologo francese giunto in Irpinia per studiarne le usanze, i riti e i camuffamenti mascherati che insegnerà la musica ad Isidoro e a modulare il fischio in modalità tonale per cui il cognome diventerà Sifflotin dal francese siffloter: fischiare. E poi arriva quel giorno, il giorno che cambia la vita e spacca la storia. Isidoro avrebbe voluto “tenere tutto quel mondo, come dentro a una biglia che ti porti in tasca, e sai che quella biglia è tutta la tua compagnia, dentro ci sta tutto quello che conosci e che ti fa stare bene” ma un pomeriggio il mondo si ferma e l’Irpinia crolla sotto il fatidico terremoto del 1980. Isidoro corre verso casa, la sua adorata casetta che stava in piedi da 300 anni e trova solo macerie che nascondono i corpi di Quirino e Stella teneramente abbracciati e che rimarranno ancora in vita una notte aggrappati alla manina e al fischio disperato di Isidoro. Isidoro comprende in un attimo, attraverso il dolore, la lezione della mamma “sparte e capisce, separa e capisci tutte le cose che crescono si separano” e decide di farsi muto. Finirà in una sorta di orfanotrofio per i figli dei terremotati dove incontrerà Renata una ragazza dolce del nord che saprà comprenderlo e infine sarà adottato da Enzo un anziano signore napoletano che lo porterà con sé e gli offrirà l’opportunità di ricominciare a vivere.
Oltre il surreale, c’è un reale umanissimo che ogni singolo personaggio mette in scena nella sua straordinaria singolarità e tutti insieme intonano un inno alla vita, alla semplicità, alla concretezza e all’amore perché “Ogni essere può essere, ognuno può vivere come vuole e basta così. Può essere”.
Scritto con un linguaggio vivace, con forti contaminazioni dialettali, il romanzo è permeato da un realismo magico che coinvolge il lettore, lo incanta, lo diverte, lo fa riflettere, lo fa ridere e piangere, lo rende intimamente partecipe.
Oltre il surreale, c’è un reale umanissimo che ogni singolo personaggio mette in scena nella sua straordinaria singolarità e tutti insieme intonano un inno alla vita, alla semplicità, alla concretezza e all’amore perché “Ogni essere può essere, ognuno può vivere come vuole e basta così. Può essere”.
Enrico Ianniello (Caserta, 1970) è un attore, regista e traduttore. Ha lavorato a lungo nella compagnia di Toni Servillo. Dal catalano ha tradotto le opere di Pau Miró, Jordi Galceran, Sergi Belbel. Al cinema ha lavorato con Nanni Moretti, in televisione è il commissario Nappi della serie “Un passo dal cielo”. La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin (Feltrinelli, 2015), il suo primo romanzo, ha vinto il Premio Campiello Opera Prima 2015 e diversi altri premi, tra cui Il premio John Fante Opera prima 2015, il Premio Cuneo 2015 e il premio Selezione Bancarella 2015. Per Feltrinelli ha pubblicato anche, nella collana digitale Zoom Flash, Appocundría (2016) e il romanzo La Compagnia delle Illusioni (2019).
Beatrice De Bernardi, 2 ottobre 2021