Ho letto “Stoner” di John Williams a febbraio e ammetto di averlo comprato senza sapere chiaramente di cosa si trattasse ma, come spesso mi capita, molti spunti di lettura li prendo dal nostro gruppo, dove quest’opera ha riscosso parecchi consensi. Pensando, quindi a cosa mi sarebbe piaciuto recensire e condividere con altri lettori mi è subito venuto in mente questo libro perché non lascia indifferenti, ma anzi, a fine lettura, si è portati a riflettere e a ripercorrere tratti della storia.
Eppure la vita di William Stoner è assolutamente piatta e ripetitiva. L’inizio dell’opera mette subito in chiaro quello che verrà narrato nelle pagine successive:
“William Stoner si iscrisse all’università del Missouri nel 1910, all’età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato di ricerca e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò a insegnare fino alla sua morte, nel 1956. Non superò mai il grado di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido”.
Perché, allora, questa storia così prevedibile, una volta letta, ti rimane dentro prepotentemente? Anche la vicenda editoriale del romanzo è peculiare se teniamo conto che quest’opera scritta nel 1965, pubblicata in Italia per la prima volta nel 2012, è diventata nel 2016 uno dei casi letterari più notevoli degli ultimi anni. “Che cosa abbiamo capito oggi di questo libro che non era stato compreso negli anni ’60?” Questo si chiede Barbara Carnevali in un volumetto di Fazi editore uscito nel 2016 dal titolo “La saggezza di Stoner”. Intorno a questo romanzo sono state fatte moltissime analisi, per cercare di capire come mai sia stato definito “il romanzo perfetto”.
“Stoner” è un libro che inspiegabilmente seduce, il protagonista è un uomo ordinario, ma quello che attrae è il destino di questo personaggio. William Stoner, unico figlio di una famiglia di contadini molto modesta, a diciannove anni si iscrive all’università di agraria, ma presto scopre di essere attratto dalla letteratura. Dopo la laurea in filosofia diviene insegnante della stessa università, dove passerà la sua esistenza, senza colpi di scena. Un matrimonio infelice, una figlia che adora ma con la quale non riesce a relazionarsi, un’amante, che per breve tempo riuscirà a dare una sferzata alla sua piatta esistenza, ma la sua vita rimarrà sempre e completamente dedicata al lavoro. Vivrà per il dovere di vivere e non per il piacere di assaporare la vita. Non fermiamoci però alla semplice trama dentro c’è molto di più. Analizzando l’esistenza stessa del protagonista, la sua natura e la convinzione che il destino non possa essere cambiato. Un desiderio quasi masochistico alla normalità e alla piattezza del vivere, giorno dopo giorno, fino alla morte.
La ragione per cui il romanzo si è affermato solo ai giorni nostri va forse individuato nelle condizioni culturali della nostra vita che sono notevolmente cambiate e soltanto adesso “Stoner” descrive una prospettiva di vita che trova maggiore rispondenza e connessione con la realtà odierna, dove non ci sono le stesse attese di miglioramento sociale degli anni 60’. Un romanzo sulla resilienza, scritto in modo originale, con pagine intrise di nostalgia, ma ricche di spunti meditativi sul significato della vita stessa. Un capolavoro.
John Williams, oltre a “Stoner”uscito in America nel 1965 e in Italia per Fazi editore nel 2012, ha scritto anche “Nothing, but the night” (1948) – “Niente, solo la notte (Fazi editore 2014)“Butcher’s Crossing” del 1960 (Fazi editore 2013) “Augustus” 1972 (Fazi editore 2017)
Cristina De Regibus, 23 ottobre 2018