Intervista di Vittorio Benzi, foto di Vittorio Benzi e di repertorio.
Walter Pistarini, scrittore, saggista, uno dei più importanti esperti, cultori, di Fabrizio De André, già autore di diversi libri sul poeta cantautore genovese. Ha appena pubblicato per Rizzoli, insieme a Claudio Sassi, il suo ultimo libro: “Fabrizio De André. Ho paura di fare il poeta”.
Vittorio Benzi lo ha intervistato per “Libri Chiacchiere Caffè e Tè”.
[VB] Walter, io ti conobbi in tempi non sospetti quando, all’inizio del mio percorso professionale in IBM, tu fosti il mio maestro di Project Management, che è ancora oggi il mio mestiere. Poi però le tue passioni ti hanno portato su altri territori. Vuoi raccontarci come sei diventato il più importante studioso e saggista di Faber?
[WP] Ho sempre amato la canzone d’autore, soprattutto quella italiana, Da Guccini a Venditti a De Gregori. Nel tempo mi sono reso conto che De André era l’unico del quale di ogni album finivo, dopo qualche ascolto, per innamorarmi di tutte le sue canzoni, diversamente dagli altri che trovavo più discontinui nella qualità delle composizioni. Lo seguivo senza però averlo mai visto sul palco, fino al ’98 quando avevo deciso di andare ad un suo concerto programmato a dicembre; inutile dire che fu il tour che venne interrotto per il suo stato di salute, non lo potei vedere dal vivo, e la sua morte un mese dopo fu una pugnalata al cuore.
Ci rimasi così male che decisi che dovevo fare qualcosa per poter parlare di lui; allora non c’erano i social, crai un sito web e cominciai a scambiare opinioni con altri fan e a pubblicare il materiale che avevo su di lui. Le persone hanno cominciato a contattarmi, a mandarmi il materiale che io non avevo, tipo le copertine dei dischi di edizioni particolari. Mi è venuta così la passione, che è poi diventata quasi una missione, di raccogliere, digitalizzare e condividere tutto il materiale su di lui, in particolare articoli di giornali e interviste. Claudio Sassi mi contattò per propormi di scrivere un libro per la collana Talk dell’editore Coniglio che pubblicava libri con raccolte di interviste di cantanti famosi.
E così pubblicai insieme a Claudio il mio primo libro, “De André Talk”, che era poco più di una raccolta di documenti corredati da un minimo di contesto storico.
[VB] Ce l’ho anch’io quel libro.
[WP] Da cosa nasce cosa. Durante una presentazione di “De André Talk” a Carpi incontrai Riccardo Bertoncelli della Giunti; nacque l’idea di fare un libro che spiegasse tutte le sue canzoni, di cui lui mi chiese di occuparmi. Accettai e così nacque “Il libro del Mondo” che è stato un notevole successo editoriale e continua ad essere ristampato a 14 anni dalla prima edizione. Da allora non mi sono più fermato, ho pubblicato un libro sulle canzoni ‘nascoste’, quelle ad esempio cui De André ha collaborato ma talvolta non presentano neppure la sua firma, un altro sugli oggetti da collezione, di nuovo insieme a Claudi Sassi.
[VB] Hai scritto tanti libri ma non eri ancora soddisfatto, sentivi che mancava qualcosa. Qualcosa che fosse orientato più al pensiero di De André che alla biografia o alle canzoni. E così, insieme a Claudio Sassi, hai scritto “Ho paura di fare il poeta”. Come vi è venuta questa idea e come siete riusciti a metterla in pratica? Avete analizzato e sintetizzato migliaia di documenti, quanto tempo avete “studiato”?
[WP] Claudio era in contatto con Rizzoli che era interessata a pubblicare qualcosa di nuovo su De André. A me è venuta l’idea di provare a leggere De André dal punto di vista del suo pensiero su vari argomenti e la cosa è piaciuta.
Io e Claudio avevamo continuato nel tempo a raccogliere materiale, interviste, video. Così ci siamo trovati con l’enorme lavoro di documentazione già sostanzialmente fatto. Prima ancora di analizzare il materiale, abbiamo fatto una bozza di elenco di temi che potevamo trattare, ce li siamo divisi tra noi e poi ciascuno ha cominciato a studiare ed elaborare i documenti per estrapolare quello che De André aveva detto in riferimento a ciascun tema. Dall’amore alla politica, dalla guerra agli “ultimi”, e così via. Poi ognuno di noi ha passato all’altro il proprio lavoro per correggerlo reciprocamente.
Il lavoro è durato circa un anno e mezzo.
[VB] Ho trovato originale il modo in cui il libro è concepito, di solito si parla di un autore a partire dalla sua biografia, ricostruendo eventualmente quello che poteva essere il suo pensiero. Voi avete fatto il contrario, siete partiti dai temi per atterrare sugli episodi della vita. Vuoi spiegare la struttura del libro?
[WP] In effetti ci sono altri libri che raccontano il suo pensiero, ma sono strutturati come una storia da leggere dall’inizio alla fine e così non è facile tirare conclusioni.
“Ho paura di fare il poeta” invece è strutturato in 35 argomenti, ciascuno costituisce un capitolo. È un libro “consultabile”, che in ogni momento posso prendere per andare a ritrovare facilmente il passaggio, la menzione di interesse. Claudio si è occupato più dei capitoli storici, come la discografia, gli amori, i progetti pensati ma non realizzati, io più i capitoli filosofici e politici.
[VB] Addentriamoci nel libro. Partirei dal titolo che rimanda a De André e la poesia, ma anche a De André e le sue paure. Tu sei laureato in lettere, ritieni che De André sia stato un poeta o “solo” un cantautore, come si definiva lui stesso, se pur un po’ ambiguamente? Qual era il rapporto di Faber con l’essere poeta e perché si scherniva quando era definito tale?
[WP] Il capitolo sulla poesia è molto delicato. Lui si scherniva quando lo definivano poeta o gli chiedevano se si ritenesse tale, affermava di scrivere solo canzoni perché temeva che dichiararsi poeta gli avrebbe attirato critiche e polemiche da cui voleva stare alla larga.
Tuttavia, nei documenti che io e Claudio abbiamo raccolto abbiamo rintracciato una dichiarazione in cui affermava che il Nobel a Dylan avrebbe avuto una sua ragione già 10 anni prima che gli venisse assegnato; quindi, di suo, accostava la poesia a quello che era in definitiva il proprio mestiere. Inoltre, le testimonianze dei suoi collaboratori, come ad esempio quello di Roberto Dané, raccontano di un modo di comporre i versi delle sue canzoni estremamente ricercato nello studio della parola, le rime dovevano essere facili ma mai banali, il messaggio dei versi alternava immagini potenti ad altre più ‘riposanti’ con una struttura che funziona come una metrica. Insomma, lui lavorava con la mente del poeta.
[VB] La paura è un altro dei capitoli del libro e De André in effetti, oltre a quella di esser poeta, ne aveva qualche altra, ad esempio la paura del pubblico. Vuoi raccontarci qualche episodio a proposito? Famoso quello de La Bussola, ma nel tuo libro ce ne sono anche altri, pure divertenti se non si è nei panni di chi deve salire sul palco.
[WP] Molti pensano che quella a La Bussola in Versilia sia stata la sua prima apparizione in pubblico. Invece non è così. Lui si era esibito già altre volte fin da ragazzo, ma in contesti meno esposti e soprattutto sempre insieme ad altri; quindi, non sentiva l’attenzione focalizzata completamente su di sé. sua persona.
Il pensiero di essere al centro dell’attenzione, con la luce puntata sulla sua persona, gli fece scattare qualcosa che lo ha bloccato per diverso tempo. In un’intervista nel 1970 afferma testualmente che quando aveva vent’anni e si esibiva nei cabaret poteva anche permettersi di sbagliare, ma adesso no. Capitò un anno dopo alla presentazione alla stampa di un suo lavoro che chiamato sul palco ebbe un attacco di panico, un’amnesia, dovette interrompere la canzone che stava cantando.
Da allora rifiutò qualunque esibizione dal vivo fino appunto al famoso episodio de La Bussola nel 1975.
[VB] Come andarono le cose? Si dice che ci fosse la moglie ad aspettarlo fuori in macchina con il motore acceso, pronta a portarlo via nel caso in cui all’ultimo momento non se la fosse sentita.
[WP] Lui accettò la proposta di Bernardini di esibirsi solo a condizione di farlo gratuitamente e nel caso non se la fosse sentita di potersene andare. Per fortuna andò molto bene e partì per una tournée che era già stata tutta organizzata. Nel tempo questa paura andò lentamente a svanire. Mauro Pagani testimonia che gli passò proprio alla grande e nei tour Faber, al contrario, si divertiva molto.
[VB] Sono affascinato dal rapporto di De André con la fede religiosa, altro tema trattato nel libro. Don Andrea Gallo diceva che i vangeli sono 5, il quinto è quello secondo De André. Personalmente ritengo che “Il testamento di Tito”, dove uno per uno sono negati tutti i comandamenti divini, sia la più bella e profonda professione di fede mai scritta. Che cosa pensava De André della religione e come viveva il suo rapporto con Dio?
[WP] È una domanda difficile, la risposta è complessa.
Lui era molto religioso, l’ultima sua canzone si intitola “Smisurata preghiera” che è rivolta per sua stessa ammissione ad una entità superiore. Da un lato c’è una ricerca continua di Dio, dall’altro c’è una forte critica alle posizioni della Chiesa cattolica. Don Gallo conobbe De André molto prima di quanto tutti pensano, quando ancora era un liceale. Il fratello del sacerdote, che era insegnante, gli fece leggere un tema di uno studente di nome Fabrizio De André che contestava accanitamente il fatto che la Chiesa avesse rifiutato il funerale ad un suicida in prigione.
Occorre ricordare che De André era anarchico e il pensiero anarchico, per definizione contro ogni potere, non poteva accettare l’autorità della Chiesa come istituzione. Tuttavia, le sue canzoni esprimono sentimenti di profonda religiosità e venivano trasmesse da Radio Vaticana. Vedeva nella religione una funzione di vicinanza, sostegno ed elevazione per gli uomini.
Sosteneva che vedere Gesù come Dio non permette di rapportarsi a lui, ma se lo guardiamo come uomo che diventa Dio per le sue azioni allora è un esempio per noi; questo è il messaggio de “La Buona Novella”. Ne “Il testamento di Tito” contesta le regole scritte da chi detiene il potere, per poi riscriverle secondo la dottrina dell’amore di Gesù, a cui, in quanto Dio, riconosce il potere di farlo. (In questo di fatto consiste il passaggio dal Vecchio al Nuovo Testamento, N.d.R).
[VB] Mischiamo sacro e profano, come il parroco di “Bocca di Rosa”, o meglio religione e superstizione. Uno dei capitoli del libro è “Astrologia e tarocchi”. Vuoi parlarcene?
[WP] Fabrizio De André era un intellettuale a tutto tondo, eppure era appassionato di Astrologia. Controllava il cielo astrologico quando doveva fare qualcosa. Mauro Pagani racconta che l’album “Le nuvole” doveva essere registrato nel ’86-‘87, ma Faber volle rinviare fino al ’88-‘89 perché secondo i suoi “studi astrologici” il momento non sarebbe stato propizio.
Nella sua ultima tournée De André volle una scenografia basata sui Tarocchi che non erano disposti a caso, ma secondo una precisa chiave di lettura.
[VB] Un altro capitolo è dedicato alla politica: De André non era iscritto, credo, a nessun partito ma ha fatto politica come pochi altri secondo me; era fortemente impegnato su tematiche sociali e libertarie, eppure fu perfino contestato per il suo essere “borghese”; era convintamente anarchico ma votava PCI, anche questa una contraddizione. Quale idea ti sei fatto della visione politica di Faber? Che cosa penserebbe della situazione politica in Italia e nel Mondo se ritornasse in vita 25 anni dopo?
[WP] A 17 anni si iscrisse al Circolo anarchico di Carrara. De André è sempre stato profondamente anarchico, ha finanziato le iniziative anarchiche e la rivista anarchica A, di Paolo Finzi. Votò PCI nel 1975 come il meno peggio, nella speranza che portasse qualcosa di nuovo allo scenario dominato dalla DC dal primo dopoguerra, qualcosa che andasse almeno nella direzione dell’utopia anarchica. Ma era anche simpatizzante del separatismo sardo e non vedeva di cattivo occhio le istanze della Lega dei primissimi tempi, per poi allontanarsene decisamente quando questa arrivò al potere. Negli anni ’90 lamentava l’incapacità di rispondere in modo collettivo alla violenza del potere, ma al più solo come individui. Insomma, tutto il suo pensiero politico è improntato alla critica al potere, una istanza fondamentalmente anarchica.
Rispetto alla situazione internazionale di oggi penso che si possano applicare le parole che disse in una intervista dell’’84: <<La canzone “Sidún” non è altro che il lamento di un padre, evidentemente un palestinese, sul cadavere del suo bambino. Vuoi anche che ti dica che sono per l’autodeterminazione dei popoli, che quindi desidero rivedere i palestinesi in Palestina? Questo è ovvio. Inoltre non abbandono la speranza che i sovietici se ne vadano dall’Afghanistan e gli statunitensi dai Paesi centroamericani>>.
Aggiungo un mio pensiero sul tema degli ultimi, degli immigrati. Credo che le sue parole oggi ricalcherebbero quelle di una canzone di Ivano Fossati, “Pane e coraggio”: <<ci vuole coraggio a trascinare le nostre suole da una terra che ci odia ad un’altra che non ci vuole>>.
[VB] Abbiamo parlato di religione e di politica, veniamo alle cose veramente importanti: il calcio. De André, come spesso accade ai genovesi, viveva il calcio in modo viscerale, tifava Genoa quasi fanaticamente ma, soprattutto, “sapeva di calcio”. Vuoi dirci qualcosa anche di questo aspetto, che potrebbe essere considerato perfino troppo ‘terra-terra’ per un personaggio del suo spessore?
[WP] Il calcio è emozione e passione e per questo non possiamo stupirci che lui ne fosse appassionato. Grande tifoso del Genoa, voleva conoscere i risultati anche quando era prigioniero dei rapitori in Sardegna, faceva le formazioni che sperava di vedere in campo, ha cantato con Baccini una canzone che è quasi un inno, “Genova Blues”. Ma c’è una chiave di lettura di questa sua predilezione: il padre e il fratello maggiore erano tifosi del Torino, città di origine paterna, e quando lo portarono allo Stadio a vedere Torino-Genoa lui istintivamente prese la parte dei più deboli, che in quel frangente era la squadra rosso-blu. In linea con il suo stare sempre dalla parte più svantaggiata.
[VB] Passiamo ad uno dei temi che più mi appassionano nei testi di De André: le donne e l’amore. Di primo acchito non mi vengono in mente molte canzoni che parlino del proprio amore per una donna. Eppure l’amore per la donna è mirabilmente rappresentato in decine di suoi testi, tra i più struggenti e poetici che si possano immaginare, basti pensare a “Canzone dell’amore perduto” o “Le passanti”. Poi ci sono figure di donna magnifiche nelle sue canzoni, Barbara, Franziska, Giovanna D’Arco, Jamin-a, ovviamente Maria madre di Gesù, e poi Marinella e Bocca di Rosa… Che rapporto aveva Faber con le donne e l’amore? Subiva il loro fascino o le dominava con il suo carisma?
[WP] Secondo me subiva il loro fascino, e qualche volta ha detto che l’amore è qualcosa che ti travolge e c’è poco da fare. Secondo me dalla sua vita emerge il fatto che distinguesse nettamente il sesso dall’amore. Il primo un fatto quasi ‘igienico’, il secondo qualcosa che ti prende e ti stravolge.
Faber ha avuto grandi amori, uno dei primi fu per una prostituta. Tra la sua prima moglie Puny Rignon e l’inizio della relazione con Dori Ghezzi ci fu un’altra donna, meno nota, Roberta, cui è dedicata Giugno ’73. Fu un amore non pienamente corrisposto; lei, di estrazione probabilmente alto-borghese, al momento in cui le cose per De André stavano prendendo una piega definitiva (cercava casa per andarci a vivere insieme) decise di lasciarlo (<<È stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati>> – Giugno ’73). Ci sono versi di amore straordinari nelle sue canzoni, personalmente mi piacciono moltissimo i due versi finali di “Verranno a chiederti del nostro amore”: <<Continuerai a farti scegliere…>>
[VB] <<…o finalmente sceglierai?>>
[WP] E poi in “Dolcenera”: <<L’amore ha l’amore come solo argomento>>. Con questa sua grande sensibilità per l’amore ci voleva una donna intelligente, caparbia, capace come Dori per riuscire a raggiungere un equilibrio. Lui la stava molto a sentire.
Claudio Sassi e Walter Pistarini autori del libro “Fabrizio De André -Ho paura di fare il poeta”
[VB] Se si parla d’amore non si può che parlare anche di morte. La morte è forse il tema più ossessivamente presente in De André. “Tutti morimmo a stento” è emblematico ma davvero non si contano le canzoni in cui De Andre sembra guardare negli occhi la Nera Signora. Come mai secondo te era così ricorrente il pensiero della morte? Ne aveva “solo” paura e cercava di esorcizzarla o c’è altro?
[WP] Non era ossessionato dalla morte, il pensiero della morte non lo lasciava tranquillo ma il figlio Cristiano dice che fu un leone sul letto di morte. Non era intimorito dalla morte come fine fisica, ma temeva la morte mentale, la morte dell’anima, come spiegò ospite di Enza Scampò in TV per parlare di “Tutti morimmo a stento”.
[VB] Qual è l’episodio più curioso, quello che ricordi con più piacere di questa tua instancabile ricerca su De André?
[WP] Una volta passando in Via Del Campo a Genova (Via del Campo 29 Rosso, sede del Museo dedicato a De André N.d.R.) ho trovato una dedica firmata da Maureen Rix, la cantante che cantò la prima edizione di “Geordie” con De André nel 1966 e di cui si erano completamente perse le tracce da allora. Sono riuscito a rintracciarla e sono andato ad intervistarla, mi raccontò di come nacque la canzone e anche che dovevano farne un’altra. Ne parlo nel libro “Canzoni nascoste. Storie segrete”.
[VB] Spesso l’11 gennaio, in ricorrenza della sua morte, ho partecipato alle cantate anarchiche che spontaneamente si tengono la sera nelle piazze di molte città italiane. Quest’anno nel 25° anniversario ero a Genova, buona parte dei ragazzi che si sono radunati a cantare non erano ancora nati quando De André ci ha lasciati. Come si spiega questo amore anche tra i più giovani che non lo hanno conosciuto in vita?
[WP] Indubbiamente i versi delle canzoni e il timbro della sua voce sono qualcosa che cattura. La ricerca musicale, la grande varietà dei suoni dei suoi album sono un altro tassello fondamentale. Ma io credo che non siano sufficienti a spiegare il fenomeno.
Il segreto secondo me va ricercato nel modo di lavorare che aveva De André. Lui era un perfezionista assoluto: pretendeva tantissimo da sé stesso e da quelli che lavoravano con lui, non smetteva di lavorare finché le musica non suonava come voleva lui. Una volta durante una registrazione di un’esibizione con Roberto Murolo questa, per una serie di motivi, si protrasse fino alle 2 del mattino. A quel punto i musicisti andarono a casa, ma la registrazione doveva essere consegnata il giorno dopo e restava da fare montaggio, mixaggio, insomma un lungo lavoro di post -produzione. Lui restò a lavorare con gli addetti a questa parte fino al mattino e si accertò che tutto fosse assolutamente perfetto.
Giuseppe Bentivoglio (paroliere, collaboratore di De André, N.d.R.) spiega perfettamente quale fosse l’atteggiamento di Faber in uno studio di registrazione, con quale obiettivo ci entrava: <<Emozione ed immaginazione avrebbero dovuto prendere il sopravvento incontrastato su rigida professionalità, tecnologia, prassi abitudinarie […]. Il tempo di lavoro non era stato deciso prima: sarebbe stato necessariamente quello necessario al raggiungimento dell’obiettivo, e che i discografici si disperassero pure con i loro conti.>>.
Questo tipo di atteggiamento evidentemente ha prodotto risultati che si colgono e colpiscono la sensibilità anche dei giovani che non lo hanno conosciuto in vita.
[VB] Un capitolo del libro è dedicato ai progetti irrealizzati. C’è qualcosa lui avrebbe voluto fare più di ogni altra e che purtroppo la sua, tutto sommato, breve vita gli abbia impedito di portare a termine? Qualcosa di cui la morte purtroppo ha privato lui e di conseguenza tutti noi?
[WP] Come spiegato nel libro c’erano tanti progetti nei piani di Faber, molti erano solo idee, oppure in uno stato ancora embrionale e forse comunque non avrebbero mai visto la luce. Qualcuno era più concreto e poteva senz’altro realizzarsi. Tra questi un nuovo disco, che doveva intitolarsi “Notturni”. Il progetto era pronto e anche la squadra per realizzarlo. Si, la sua morte ce ne ha privato.
[VB] Invece Walter Pistarini ha qualche nuovo progetto in corso, o anche solo in testa, di cui magari, da perfetto Project Manager, sai anche dirci quando arriverà?
[WP] Ho due libri già quasi pronti, di uno ho trovato anche l’editore. Il primo è su Franco Battiato, titolo provvisorio “Franco Battiato. Lavorare con un genio”. L’ho scritto intervistando Gianfranco D’Adda, batterista e percussionista di Battiato nei primi 15 anni della sua carriera, quelli più votati alla ricerca musicale, il periodo più interessante e meno noto della musica di Battiato. Sono percorse tutte le tappe e i ricordi di come si lavorò ai dischi di Battiato, fino a “La voce del Padrone”. In più c’è un approfondimento con Juri Camisasca (cantautore, collaboratore di Franco Battiato, N.d.R.) sulla meditazione, pratica cui Battiato era dedito, e la spiegazione della sua ultima canzone.
Il secondo libro è più difficile da pubblicare, ma io l’ho scritto perché sentivo di doverlo fare. È dedicato ad Antonio Casetta, che fu il primo grande discografico di De André, che ha pubblicato i suoi primi 8 LP.
Vittorio Benzi con Walter Pistarini per Libri Chiacchiere Caffè e Tè
[VB] Grazie a Walter Pistarini per questa bella intervista, grazie anche a Claudio Sassi che non è qui con noi ma ha contribuito al 50% alla realizzazione di “Fabrizio De André. Ho paura di fare il poeta”, bello e interessantissimo.
Invito tutti i lettori di Libri Chiacchiere Caffè e Tè a leggerlo, anche quelli che conoscono poco Faber: una splendida, imperdibile occasione per approfondire la conoscenza del cantautore, del poeta e soprattutto dell’uomo.