“Blast” di Manu Larcenet

“Peso molto. Quintali. Amalgama opprimente di lardo e speranze distrutte, inciampo ad ogni passo sulla via. Cado e mi rialzo, e di nuovo cado. Peso molto, ancorato al suolo, oppresso dalla gravità. Atlante anomalo, mi trascino dietro il mondo. Poso molto. Più di un cavallo da tiro. Più di un carro armato. Peso molto, eppure a volte volo.”

Disturbante, questo l’aggettivo che meglio descrive secondo me l’esperienza di lettura di questo imponente romanzo a fumetti di oltre 800 pagine.
L’apertura e decisamente noir: Polza è stato fermato dalle forze dell’ordine, lo sospettano dell’omicidio di una donna ed è sottoposto ad un interrogatorio. Polza è un uomo deformato da una incontrollata obesità, è dedito ad alcol e droghe, mostra segnali di disturbi mentali, da tempo vive come un clochard, tutto lascia presupporre un interrogatorio difficile. Invece si presta a parlare con calma e gentilezza dei fatti che lo riguardano, anzi molto di più: racconta, apparentemente senza reticenze, il faticoso percorso di vita che lo ha portato in quella stanza sospettato di un crimine.

Attraverso il racconto di Polza il lettore vive i tormenti di un uomo deriso e bullizzato da sempre per la propria obesità; orfano di madre fin da bambino, dopo la morte del padre e del fratello decide di abbandonare qualunque legame con la ‘normalità’ cui aveva cercato di accostarsi. Lascia il lavoro (scrive libri di cucina) e la moglie (“l’unica ad aver frequentato il suo apparato genitale”) e diventa per scelta un clochard, solitario. Abbandona la città per rifugiarsi in boschi e campagne amene se non inaccessibili, cerca di adottare un modo di vivere che lo liberi da qualunque peso, responsabilità, legame; in definitiva Polza vuole uscire dal proprio corpo, abbandonarne il peso che lo opprime mentalmente più ancora che fisicamente, desidera letteralmente sollevarsi da terra e spiccare il volo, forse una metafora della ‘normalità’ che gli era preclusa.

Il suo ‘viaggio’ sarà pieno di insidie e di ostacoli, nonostante aneli alla solitudine si troverà costretto a condividere spezzoni della propria vita con altri emarginati e a subire violenze e soprusi, finisce ben presto per abusare di alcol e droghe. Eppure, riesce in alcuni istanti casuali a raggiungere uno stato di trance, di ‘illuminazione’ (per usare un termine della tradizione mistica orientale che tanto mi è stata evocata dal racconto), che il protagonista chiama “Blast”, in cui come in un a sorta di sogno si solleva dal suolo e raggiunge una condizione di totale appagamento.

Niente come l’arte del fumetto, magistralmente interpretata dall’autore, potrebbe rappresentare meglio il viaggio di Polza, nei luoghi che sono soprattutto quelli delle mente. Il contrasto tra i corpi degli umani e quelli degli animali selvatici, i primi sempre raffigurati deformi e caricaturali i secondi  sempre perfetti e ricchi di dettagli, sembrano sancire l’impossibilità dell’uomo di raggiungere l’armonia con la natura, prigioniero com’è dei propri schemi mentali. Il bianco e nero, ossessivo e oppressivo, è sostituito da sprazzi di colore vivacissimo durante i Blast. L’immagine delle gigantesche teste dell’Isola di Pasqua si materializzano agli occhi di Polza, come a raffigurare la perfezione dell’isolamento e del distacco da ogni vincolo fisico e morale.

Nonostante tutte le stratificazioni psicologiche, sociali, politiche che vi si leggono il romanzo conserva un’impronta noir. Durante tutto il lungo interrogatorio, resta sospeso il giudizio sul sospettato e quale sarà il suo destino: è l’uomo inoffensivo e ‘filosofo’ che traspare dalle sue parole o si tratta di un potenziale assassino come sospettano i detective? Racconta tutta la verità o nasconde qualcosa di inconfessabile anche a sé stesso? Durante i Blast perde davvero il controllo del proprio corpo e la memoria di ciò che lo circonda o finge consciamente per raggiungere un secondo fine? Il finale è un colpo di scena degno dei grandi noir, e certamente alla grande tradizione noir questo romanzo deve qualcosa.

Personalmente non posso dire che mi sia piaciuto al 100%, le tavole sono poco o per nulla attrattive graficamente (a mio giudizio ovviamente), non ho capito diversi passaggi della storia (e questo immagino sia un mio limite). Però una cosa e certa, mi ha comunicato un senso di “pacifica terrificante angoscia” difficile da descrivere; il potere di comunicare all’inconscio saltando i filtri della mente è una delle più caratterizzanti prerogative dell’arte secondo me, e questo fumetto ci riesce in modo stupefacente. Certamente merita una rilettura e successive rielaborazioni, ma emerge un dato incontrovertibile: la totale assenza di “morale” di Polza, una vacuità pesante come le teste dell’Isola di Pasqua così spesso raffigurate nel fumetto. È questo in definitiva che mi ha ‘disturbato’ come dicevo all’inizio ed è anche la maggior attrattiva di questo grandioso romanzo.

Vittorio Benzi