Firenze 1932. Valerio, 15 anni, è la voce narrante. Lavora come apprendista meccanico e vive con il padre e la nonna nel Quartiere di Santa Croce. Un quartiere popolare, povera gente, descritto come un quadro, con i giochi dei bambini nelle vie, le botteghe dei falegnami, i carrettini del trippaio e dell’ortolano, le case con le crepe al soffitto ingentilite dai canti delle sorelle al mattino della domenica. Gente che viveva di poco e poco chiedeva, solo di stare insieme in quel piccolo mondo, che pareva fatto apposta per loro. Quello che esisteva fuori non interessava o faceva paura. In quelle case e tra quelle vie passa l’adolescenza e la giovinezza di un gruppo di amici: Valerio, Gino, Giorgio, Arrigo, Carlo, le ragazze Maria, Luciana, Marisa, Olga. Li seguiamo passo dopo passo questi ragazzi, quindici, quattordici, diciassette anni, che lavorano già da tempi come uomini, il cui solo divertimento era fumare qualche sigaretta, guardare seduti sul muretto le ragazzine che passeggiavano a braccetto con il rossetto della domenica, qualcuna ammiccava vanesia “…perché lavora in una modisteria del centro…” di quelle che oggi si chiamerebbero atelier o maison della moda. Le prime cotte sono sempre uguali nell’animo, cambia solo il modo di approcciarle, e nel piccolo gruppo c’è l’innamorato timido, la ragazza spavalda, il padre semplice ma diretto nella sua educazione sessuale e amorosa. Pratolini descrive con assoluta limpidezza anche la carnalità degli amori, non v’è mai malizia, in quel congiungersi con assoluta semplicità.
Tempi in cui una ragazza si perdeva se stava fuori una notte, vecchi retaggi duri come l’acciaio, povertà che genera violenza, anche se per tutto esiste pur sempre una giustificazione: “…entrate nelle nostre case, ingoiate la miseria che ci assiste…”. Impareranno gli amici di sempre che non si cresce tutti insieme e nello stesso momento, saranno gli eventi della vita a determinarlo. Il passaggio dall’adolescenza alla giovinezza non è indolore, ciascuno dovrà fare i conti con i propri errori, qualcuno con la propria diversità, abbandoni e tradimenti, con la durezza della vita. Sarà la guerra delle colonie, a schierarli su fronti opposti, qualcuno continua a rimanere in quel mondo circoscritto, qualcuno esce per scoprire un altro mondo, arrivano i primi dubbi, il chiedersi se c’è differenza tra speranza e illusione.
Un racconto corale, in cui nessuno dei protagonisti primeggia. Gli intrecci sentimentali, che in fondo sono l’ossatura del racconto, la girandola di coppie che si formano e si disfano, gli anni che passano, non riescono a minare il profondo attaccamento degli uni verso gli altri: “…come volete ci faccia paura ritrovarci un po’ diversi in viso? Credete che non ci riconosceremo?”. Anche le persone adulte, Berto, i padri e le madri hanno un posto ben delineato come comprimari nel lungo incedere della vita nel Quartiere, “…nelle loro parole v’erano anni di pene comuni, vissute senza mistero sulle strade e nelle piazze del Quartiere e sulla bocca della gente il loro diverso modo di affrontare il destino…”
Valerio, con l’arruolamento militare, deve forzatamente allontanarsi dal quartiere, ma non muta mai il suo senso di appartenenza alla sua vita precedente. Ritornerà, insieme a pochi, da dove è partito perché “si può avere nostalgia della miseria”, perché il profondo senso di gruppo non vada perduto, perché le sue radici sono troppo profonde per essere sradicate.
Lo stile dello scrittore è semplice, fresco, scorrevole, ma non è questo a renderlo, secondo me traversale a più generazioni, è la commossa partecipazione agli eventi che composero un pezzo di vita del Suo Quartiere, che lui riesce a trasmettere con una vividezza assoluta al lettore. Leitmotiv di tutto il libro è la speranza/sogno, che assume connotazioni diverse ma che non viene mai abbandonata nemmeno nei momenti più bui, la caparbia volontà di resistenza dell’amicizia, la capacità di rinascita e di credere che esista sempre e comunque un futuro per cui lottare. Due valori a cui oggi non diamo più l’importanza che meritano, per questo consiglio a tutti di leggere, o rileggere, questo piccolo capolavoro.
Vasco Pratolini (1913/1991) nacque a Firenze da una famiglia operaia nel Quartiere di Santa Croce, che andrà a formare lo sfondo di tante sue opere. Per aiutare la famiglia fece svariati mestieri, ma intanto cominciava a manifestarsi la sua vocazione letteraria. Di lui, oltre a Il Quartiere (1943), ricordiamo Cronache di Poveri Amanti (1947), Cronaca familiare (1947), Le ragazze di Sanfrediano (1952), Metello (1955). Si è anche occupato di cinema e teatro con Rossellini, Visconti, Bolognini. Alcuni film sono stati tratti dalle sue opere.
Carla Maria Cappa, 28 settembre 2018