“Anna” di Niccolò Ammaniti

«È un libro che chiude la mia serie di romanzi sugli adolescenti. Non credo ne farò altri con ragazzini protagonisti. Anna supera tutti gli altri perché è l’unica completamente libera che fa un percorso completo di vita, non è condizionata dagli adulti ma può esprimere tutti i suoi pregi e difetti».

Nell’anno 2016 una terribile epidemia, battezzata la rossa per l’inequivocabile comparsa di chiazze rosse sul corpo, comincia a diffondersi in Europa seminando morte.
Ne sono immuni i bambini fino ai 14 anni, cioè fino allo sviluppo degli ormoni della pubertà responsabili della malattia.
Quattro anni dopo, è il 2020, siamo in Sicilia. L’isola, devastata dalla rossa e da una serie di incendi,  è un deserto di macerie saccheggiate, di scheletri umani abbandonati, di resti  in decomposizione di persone o cose.
In questo scenario apocalittico si aggira Anna la protagonista del romanzo e la incontriamo mentre corre con il suo inseparabile zainetto lungo l’autostrada, che si «srotola come un filo di liquirizia», per sfuggire all’attacco di un branco di cani randagi e da una lotta corpo a corpo con quello che a prima vista è un mucchio di stracci ma si trasforma nel pastore maremmano, il cane dai tre nomi, che diverrà il suo angelo protettore.
Anna sopravvive da quattro anni grazie alle scorribande quotidiane in cerca di cibo, acqua, medicinali e batterie.
La madre, morendo, le ha lasciato in custodia il fratellino Astor, un casolare nascosto, il Podere del Gelso, e un quadernetto consunto con la copertina dura e marrone dove sono scritte le cose importanti, una serie di istruzioni dettagliate per le varie eventualità, che si conclude con il testamento affettivo: «La mamma vi vorrà sempre bene anche se non è lì con voi e così il vostro papà. Anche voi due dovete volervi bene e aiutarvi. E non lasciarvi mai, siete fratelli».
Così la vita di Anna e Astor è segnata dall’indissolubilità e dalla mancanza.
Anna cerca di dare un senso di normalità ad una quotidianità tanto surreale, quanto disorganica e drammatica finché un giorno Astor viene rapito. Cominciano così le peripezie di Anna attraverso la Sicilia e fino al continente, alla ricerca del fratello, ma soprattutto di una speranza, di una prospettiva di futuro che sembra precluso, fino al colpo di scena finale.

Il romanzo, che è un lungo racconto, ci regala questo straordinario personaggio, Anna,  che a detta dello stesso autore: «Via via che scrivevo percepivo un maggiore attaccamento ad Anna, provando compassione, orgoglio, gelosia. La sentivo a volte una figlia, a volte la mia fidanzata ideale. A un certo punto ho sentito che era un carattere indipendente e quasi si ribellava alla storia che le avevo recintato intorno. Mai successo prima».

E’ un percorso di iniziazione, in un ambiente oltremodo ostile, ma Anna matura la consapevolezza che «la vita non ci appartiene, ci attraversa», con cinismo, lucidità, determinazione e sorretta da quell’amore fraterno, fortissimo, che la spinge a sopravvivere e a farsi garante della salvezza di Astor:  per questo Anna non è mai indulgente, non cade in debolezze o abbandoni e scivola sugli orrori con distacco.

A ragione il romanzo è stato affiliato per genere e contenuto a LA STRADA di C. McCarthy e IL SIGNORE DELLE MOSCHE di W. Golding, io personalmente ho ravvisato una familiarità anche con Cecità di Saramago: Anna è l’unica che ha conservato la vista, come la moglie del dottore,  quale capacità extrasensoriale di affinare strategie di sopravvivenza ed entrambi i romanzi terminano con un indizio di speranza interlocutoria.

Credo che il senso più profondo stia nella riflessione:
«Anna, nella sua inconsapevolezza, intuiva che tutti gli esseri di questo pianeta, dalle lumache alle rondini, uomini compresi, devono vivere.
Questo è il nostro compito, questo è stato scritto nella nostra carne.
Bisogna andare avanti, senza guardarsi indietro, perché l’energia che ci pervade non possiamo controllarla, e anche disperati, menomati, ciechi continuiamo a nutrirci , a dormire, a nuotare contrastando il gorgo che ci tira giù».
 

E infine una menzione d’onore a Coccolone che come tutti i cani dà prova estrema di fedeltà.
In un mondo distopico saranno i bambini e gli animali a salvarci, e Ammaniti ce lo scrive con il suo stile essenziale, scevro da ogni formale ridondanza, e con il suo occhio ironico, talvolta paradossale ma del tutto reale e umano.

Niccolò Ammaniti, nato a Roma il 25 settembre 1966, è uno degli autori italiani di maggior successo. Ha pubblicato il suo primo romanzo “Branchie” (Ediesse) nel 1994, e nel 1996 la raccolta di racconti “Fango” (Mondadori). Nel 1999 esce il suo secondo romanzo “Ti prendo e ti porto via” (Mondadori). Diventa noto al pubblico nel 2001 con la pubblicazione del romanzo” Io non ho paura” (Einudi), che nel 2003 viene trasposto in film da Gabriele Salvatores. Nel 2007 si aggiudica il Premio Strega per ”Come Dio Comanda” (Mondadori), che diviene anch’esso un film con la regia di Gabriele Salvatores.Nel 2009 pubblica “Che la festa cominci” (Einaudi), al quale segue “Io e Te” (Einaudi) nel 2010, portato sul grande schermo da Bernardo Bertolucci. “Anna” (Einaudi – 2015) è il suo romanzo piú recente.

Beatrice De Bernardi, 28 ottobre 2021